Opus Dei: tutta la verità

È in libreria, per le edizioni Lindau di Torino, un libro-inchiesta di Patrice de Plunkett, noto saggista e giornalista francese, dal titolo "Opus Dei: tutta la verità". Uno studio documentato e interessante, che non ignora le questioni più spinose nelle quali l'Opera è stata - suo malgrado - coinvolta.

Opus Dei: tutta la verità

È in libreria, per le edizioni Lindau di Torino, un libro-inchiesta di Patrice de Plunkett, noto saggista e giornalista francese, dal titolo "Opus Dei: tutta la verità". Uno studio documentato e interessante, che non ignora le questioni più spinose nelle quali l'Opera è stata - suo malgrado - coinvolta.

18 febbraio 2008

Avvenire 18 gennaio - Andrea Galli

D’accordo, l’Opus Dei non ha l’abitudine di assoldare sicari e torturare, ricattare il Vaticano, complottare per controllare le redini della finanza globale, nutrire la sua volontà di potenza con riti para-mitraici, e certe tesi possono restare appannaggio di lettori obnubilati da Dan Brown o di allucinati vari. Però, in una conversazione tra persone raziocinanti e mediamente istruite, messe da parte la paccottiglia e le leggende nere più inverosimili, una cosa resta difficile negare: l’Opera è anche figlia della Spagna del Caudillo. L’Opera è un frutto della temperie politico-culturale, durata più di trent’anni, che va sotto il nome di franchismo, con tutto ciò che questo comporta... o no? No, secondo Patrice de Plunkett, direttore per anni del Figaro Magazine, che nel suo Opus Dei, la verità, (Lindau, pagine 320, euro 22), da oggi in libreria, dedica un grande spazio proprio a questo presunto marchio di origine, stigma resistente ai corsi e ricorsi del tempo.

In Italia, nel '94, già Giuseppe Romano, in una ricca postfazione al bestseller di Vittorio Messori Opus Dei, un’indagine, aveva fornito i dati per inquadrare la questione. De Plunkett torna sul tema, offrendo un approfondimento (anche su molti altri cliché riguardanti l’Opus Dei) accessibile a chi fosse poco propenso ad affrontare testi impegnativi, come la biografia in tre volumi di Josemaría Escrivá scritta da Andrés Vázquez de Prada. Il giornalista francese (che, premette, non appartiene all’Opera né ha intenzione di entrarvi in futuro e ha voluto affrontare con rigore il suo oggetto di studio) parte dall’ostilità del giovane Escrivá nei confronti della saldatura tra fede e nazionalismo nella Spagna del dopoguerra civile. Quando, per dire, non pochi uomini di Chiesa si adeguano a salutare col braccio teso, mentre il sacerdote di Barbastro rifiuta di farlo in ogni circostanza, comprese le cerimonie ufficiali. Piccolo segno di un distacco dalla retorica nazionalista che non passa inosservato.

L’Opus Dei riceve proprio dalla forza muscolare del regime - la Falange -, oltre che da esponenti della Compagnia di Gesù, le prime dure contestazioni. Nel febbraio del ‘43, la polizia politica prepara una retata di membri dell’Opera, accusati di «appartenere a una società segreta nemica della Falange e in connivenza con l’ambasciata inglese». Il 22 dicembre del ‘43, a Madrid, il Servicio de información y investigación, sempre della Falange, consegna alla segreteria generale del Partito un rapporto riservato sull’«organizzazione segreta» di Josemaría Escrivá. Documento che, insieme a un altro similare del ‘44, mira a sferrare un «colpo mortale» alla cosiddetta «Obra». Tra le accuse, oltre a quella di attentare alle basi dell’ordine franchista, quella di fomentare un malsano «internazionalismo», con una svalutazione della grandezza e unicità della Patria riconquistata, e quella, rivolta specificamente ad Escrivá, di «impedire a chiunque di unirsi al glorioso Movimento Nacional». Campagne di questo tenore segnano gli anni ‘40. Ma continueranno anche nei decenni successivi, quelli in cui l’«Obra» vede i primi membri diventare ministri.

All’inizio degli anni ‘60, Arriba, l’organo del Movimiento nacional, e Pueblo, voce del «sindacato verticale», si scagliano contro tre ministri opusdeisti, mentre lo slogan «Franco si, Opus no» si fa spazio nelle manifestazioni nazional-popolari. Così nel 1960, quando l’Università di Navarra - patrocinata dall’Opus Dei - chiede l’autorizzazione a rilasciare diplomi universitari, si scontra con una resistenza dura e ramificata. Sempre la Falange, e in particolare il suo segretario generale, José Solís, cerca di mobilitare la stampa straniera: invia emissari a Parigi per prendere contatto con alcuni quotidiani nazionali, offrendo loro «informazioni sul conto dell’Opus Dei». Queste, nonostante le fonti da cui provengono creino non pochi imbarazzi, verranno pubblicate allargando la campagna mediatica contro la nuova e misteriosa realtà cattolica.

Per De Plunkett, anche i numeri della partecipazione di personalità dell’Opus Dei ai governi franchisti parlano di un coinvolgimento ben diverso da quello della vulgata: su un totale di 116 ministri nominati da Franco in undici governi, dal 1939 al 1975, otto furono membri dell’Opus Dei. Uno di questi morì dopo la nomina, altri quattro mantennero la carica solo per una legislatura.

E se ci furono numerari o soprannumerari franchisti, ce ne furono molti altri su posizioni politiche distanti o opposte, essendo l’impegno politico di un membro dell’Opus Dei - sottolinea l’autore dell’inchiesta - frutto di una scelta autonoma, in nulla vincolata alla casa madre (la quale si pone come semplice «distributore» di servizi spirituali, esclusivamente mirati alla santificazione personale).

Qualche esempio. Rafael Calvo Serer, intellettuale di punta nella Spagna del dopoguerra, membro dell’Opus Dei, monarchico liberale, nel 1953 viene espulso dal Consiglio superiore per la ricerca scientifica, avendo pubblicato un saggio critico verso la politica franchista. Nel 1967 fonda insieme ad Antonio Fontán, accademico e giornalista, anche lui membro dell’Opus Dei, un quotidiano liberale, il Madrid, che ospita rivendicazioni operaie e studentesche e spesso prende di mira il Caudillo. Risultato: diciannove processi, dieci multe, quattro mesi di sospensione, incendio del giornale ad opera dei falangisti, fino alla chiusura imposta dall’alto, nel 1968, e l’esilio di Calvo Serer a Parigi.

Patrice De Plunkett

Ancora. Nel marzo del '66, alcuni gruppi dell’opposizione - intellettuali, studenti, militanti catalani, persino comunisti - si riuniscono in un congresso clandestino a Barcellona. Assediati dalla polizia, in 200 resistono per 48 ore, prima di capitolare ed essere arrestati. I leader di quell’adunata, che prenderà il nome di «Caputxinada», sono tre membri dell’Opus Dei: Roberto Espí, Francesco Brosa e il giornalista Pere Pascual. Quest’ultimo diventerà poi sacerdote.

PATRICE DE PLUNKETT, saggista e giornalista, ha diretto per molti anni una delle riviste francesi più famose, «Figaro Magazine», e attualmente è membro del comitato editoriale della rivista «Kephas». È autore di La culture en veston rose, Ça donne envie de faire la révolution!, Quelle spiritualité pour le XXIe siècle?, L’Évangile face aux médias, Benoît XVI et le plan de Dieu e Nous sommes des animaux mais on n’est pas des bêtes.