Si sono aperti i cammini divini della terra

Articolo pubblicato nel supplemento de "L'Osservatore Romano".

Per comprendere ciò che il Signore dice alla Chiesa attraverso i santi occorre aver chiara una premessa: la santità è pienezza della carità; tutti i santi, ciascuno a suo modo, hanno raggiunto i vertici dell'amore. Ma ogni santo è portatore di un messaggio specifico, che va ricercato non solo nell'eroismo con cui ha esercitato "privatamente" (mi sia concessa l'espressione) le virtù cristiane, ma anche nel modo in cui ha svolto la propria missione sulla terra. La consapevolezza del compito ricevuto da Dio, assieme alla lotta quotidiana per realizzarla, spiega l'eroismo dei santi. Il punto veramente qualificante nelle singole cause di canonizzazione sta proprio nella verifica della radicalità con cui l'individuo ha compiuto la volontà divina, cioè ha adempiuto la missione ricevuta (il papato, l'episcopato o il sacerdozio; la vita religiosa o la chiamata alla santità in mezzo al mondo: in famiglia, sul lavoro, ecc.).

1. Una missione divina

La missione affidata dal Signore a Josemaría Escrivá de Balaguer può essere considerata sotto due aspetti: il contenuto e lo strumento. Da una parte, proclamare la vocazione universale alla santità e mostrare il lavoro, per i cristiani chiamati a servire Dio in mezzo al mondo, come ambito e materia della santificazione; d'altra parte, e insieme, dar vita nella Chiesa ad un'istituzione interamente finalizzata a diffondere quel messaggio e ad aiutare gli altri, senza distinzione, a metterlo in pratica. E come questo sacerdote portò a compimento tale missione? Colpisce soprattutto un elemento: la sua piena coscienza di non essere il protagonista di nulla, di non aver inventato nulla, di aver ricevuto tutto dal Signore. Di qui l'attenzione estrema con cui sempre si curò di interpretare fedelmente il carisma fondazionale, di applicarlo senza variazioni, di trasmetterlo integralmente.

Le circostanze storiche in cui nacque l'Opus Dei ci spiegano la consapevolezza de Josemaría Escrivá circa l'origine soprannaturale della propria missione. Chi analizza i fatti ne viene condotto alla conclusione di un intervento esplicito di Dio. Tutto, infatti, avviene in pochi istanti: il 2 ottobre 1928, ad un'ora precisa del mattino, durante gli esercizi spirituali, mentre sta raccolto in preghiera nella sua stanza, Josemaría Escrivá "vede" ciò che il Signore gli chiede. Quel giorno — scrisse poi — "il Signore ha fondato la sua Opera". Un'illuminazione improvvisa. Egli si sente solo strumento — per giunta, "inetto e sordo", come da allora comincia a definirsi — di un disegno divino. Il nome stesso — Opus Dei — con cui più tardi (nel 1930) prese a denominare il fenomeno pastorale scaturito da quell'illuminazione, era un indizio chiaro di questa coscienza del fondatore. E si potrebbe osservare che anche la Costituzione apostolica Ut sit!, con la quale il 28 novembre 1982 il Santo Padre eresse l'Opus Dei in Prelatura personale, indirettamente accoglie la lettura che il fondatore dava della nascita dell'Opus Dei: egli agì — dice il testo — divina ductus inspiratione.

Nell'impegno con cui per tutta la vita egli lavorò al compimento della propria missione si palesa anzitutto il convincimento pieno di essere strumento. Di qui il suo eroismo, la fortezza nell'abbracciare la Croce, l'audacia delle sue iniziative apostoliche. Di qui la sua apertura di mente e di cuore, il rifiuto di qualsiasi faziosità o piccineria, il lavorare sempre al servizio della Chiesa... Di qui, infine, la sua lotta per cominciare e ricominciare ogni giorno, e più volte al giorno, nell'impegno di corrispondere alla grazia.

Ma anche nel contenuto del messaggio (che ora illustreremo), nella luce che ne emerge e offre prospettive illuminanti per l'evangelizzazione. Nella sua universalità — al di là di ogni barriera di ceto, di estrazione culturale, di provenienza geografica — riconosciamo la traccia luminosa e perenne del Vangelo.

2. Attualità perenne

Quando egli iniziò il proprio ministero, e cioè alla fine degli anni Venti, il suo messaggio appariva carico di novità. Da una parte, portava alla presa di coscienza del ruolo attivo dei laici nella missione della Chiesa; dall'altra, postulava una nuova percezione teologica delle realtà terrene: il mondo non era più visto principalmente come regno del peccato, realtà da cui mantenere una certa distanza allo scopo di preservarsi dal contagio, ma come realtà dotata di senso divino, creata da Dio, segnata dalla presenza attiva di Dio, redenta da Cristo e da ricondurre, nell'oggi, a Dio.

Queste novità erano il portato dell'azione dello Spirito Santo nella storia della Chiesa, nascevano da un processo di maturazione inarrestabile.

In questo senso il messaggio del fondatore dell'Opus Dei appartiene al patrimonio perenne della Chiesa, come sottolinea il decreto pontificio sull'eroicità delle virtù: «Questo messaggio di santificazione nelle e delle realtà terrene appare provvidenzialmente attuale nella situazione spirituale della nostra epoca, così solerte nell'esaltare i valori umani, ma anche così proclive a cedere ad una visione immanentista del mondo separato da Dio. D'altra parte, nell'invitare il cristiano alla ricerca dell'unione con Dio attraverso il lavoro, compito e dignità perenne dell'uomo sulla terra, quest'attualità è destinata a perdurare al di là dei mutamenti dei tempi e delle situazioni storiche, come fonte inesauribile di luce spirituale».

Ai problemi di una società in vorticosa evoluzione la dottrina predicata dal fondatore dell'Opus Dei offre infatti risposte ultime, non legate alle mode o alle tendenze del momento. Nel decreto sull'eroicità delle virtù leggiamo ancora: «Regnare Christum volumus!: ecco il programma di Mons. Escrivá; mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane: da tutti gli ambienti e le professioni il suo servizio ecclesiale ha fatto scaturire un moto ascensionale di elevazione a Dio degli uomini immersi nelle realtà temporali, secondo la promessa del Salvatore in cui egli vedeva il nucleo del fenomeno pastorale dell'Opus Dei: Et ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv 12, 32 Vg.). In questa cristianizzazione ab intra del mondo sta il pregio del suo contributo alla promozione del laicato».

3. Il nucleo del messaggio

La vita del fondatore dell'Opus Dei fu la più eloquente applicazione del suo messaggio. Ciò è emerso con chiarezza dalla causa di canonizzazione. La lezione di ogni santo si esplicita nella complementarietà tra la vita, la predicazione e gli scritti. Di eloquenza muta delle opere parlava il Beato Josemaría: «Le opere sono amore, e non le belle parole» (Forgia, n. 498). E di che cosa ci parlano i santi? La risposta è una, semplice ed inesauribile: di Dio. Ognuno di essi illumina un riflesso particolare dell'infinita ricchezza del mistero di Cristo.

Da un'analisi anche sommaria delle opere de Josemaría Escrivá finora pubblicate salta agli occhi la vivissima percezione del mistero dell'Incarnazione da cui scaturisce il suo carisma. Da questa radice si dipartono simultaneamente i tre aspetti fondamentali della dottrina che costituisce il nerbo del pensiero del fondatore dell'Opus Dei. Mi riferisco alla proclamazione della chiamata universale alla santità nei suoi versanti soggettivo, oggettivo e cosmico, che ora illustreremo in breve.

Punto di vista soggettivo: in Cristo, Figlio di Dio fatto uomo e Redentore del mondo, abbiamo ricevuto il dono della filiazione divina adottiva. Figli nel Figlio, siamo configurati a Cristo dall'azione dello Spirito Santo. La santità può essere definita anche come pienezza dello sviluppo della grazia della filiazione divina nell'anima. Sulla base di questa verità primigenia si fonda la proclamazione della vocazione di tutti gli uomini — senza distinzione di stato — alla perfezione della carità. In un'indimenticabile esperienza mistica vissuta nell'ottobre del 1931, mentre il fondatore dell'Opus Dei attraversava in tram le strade di Madrid, il Signore gli fece contemplare con straordinaria profondità il dono della filiazione divina adottiva in Cristo.

Punto di vista oggettivo: egli non solo proclamò con forza che tutti sono chiamati alla santità; ma anche che tutte le attività ordinarie sono mezzo e occasione di santificazione e non costituiscono una sfera a sé, fuori dal comune, attingibile solo da pochi. Nel Verbo divenuto carne Dio ha assunto in sé, ha divinizzato l'umano, tutto l'umano. Ogni aspetto della realtà creata è informato e trasformato da quest'innalzamento in Dio. Dinanzi all'ampiezza del panorama che si dischiudeva dinanzi ai suoi occhi, Josemaría Escrivá poteva esclamare commosso: «Si sono aperti i cammini divini della terra» (È Gesù che passa, n. 21).

Il Regno dei cieli si instaura sulla terra attraverso tutte le azioni umane, anche le più semplici, purché compiute nello Spirito di Cristo che per trent'anni ha lavorato nel nascondimento di Nazaret. La trama sempre uguale a se stessa delle normali giornate di qualsiasi fedele cristiano rivela un'intrinseca dimensione divina: «Questo schema di vita, in apparenza così consueto, ha un valore divino; è qualcosa che riguarda Dio stesso, perché Cristo vuole incarnarsi nelle nostre occupazioni e animare dal di dentro anche le azioni più umili» (È Gesù che passa, n. 174). La vita ordinaria, il lavoro professionale, come ambito e materia di santificazione: torneremo su questo punto, così denso di conseguenze non solo per la spiritualità, ma anche per la pastorale.

La dottrina della chiamata universale alla santità possiede anche un'indubbia componente cosmica: l'operare del cristiano santifica il mondo. Il Breve apostolico di beatificazione di Josemaría Escrivá recita: «Il rivelarsi della connessione fra il dinamismo naturale dell'operare umano e quello della grazia, mentre afferma il primato della vita soprannaturale di unione con Cristo, traduce quest'ultima in un incisivo sforzo di animazione cristiana del mondo da parte di tutti i fedeli. In tale contesto, il Venerabile Josemaría Escrivá ha mostrato tutta la potenza redentiva della fede, la sua energia trasfigurante così delle singole persone come delle strutture in cui si plasmano gli ideali e le aspirazioni degli uomini». Non si può, nella realtà evocata da queste parole, non avvertire l'eco di quel noto passo della Lettera ai Romani: «Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8, 22-23). In questo quadro si inserisce un'altra esperienza mistica concessa a Josemaría Escrivá il 7 agosto 1931, durante la celebrazione della Messa: «Giunse il momento della Consacrazione: nell'alzare la Sacra Ostia, senza perdere il dovuto raccoglimento, senza distrarmi (...), si presentò al mio pensiero, con forza e chiarezza straordinarie, quel passo della Scrittura: "et si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum". In genere, di fronte al soprannaturale ho paura. Poi viene il "ne timeas!, sono Io". E compresi che saranno gli uomini e le donne di Dio ad innalzare la Croce con le dottrine di Cristo sul pinnacolo di tutte le attività umane... E vidi il Signore trionfare e attrarre a Sé tutte le cose» (citato da A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il fondatore dell'Opus Dei, Milano 1999, p. 402).

4. La vita ordinaria

In connessione con la dottrina della vocazione universale alla santità, Josemaría Escrivá amava usare questa triplice espressione: santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro, santificare gli altri con il proprio lavoro (cfr. È Gesù che passa, n. 122). Si veda questo passo: «Non c'è lavoro umano che non sia santificabile, che non sia occasione di santificazione personale e mezzo per collaborare con Dio alla santificazione di coloro che ci circondano» (ibid., n. 10). Il lavoro gli appare dunque come il cardine attorno al quale ruota la vita dell'uomo, la trama di ogni sua giornata. Per il comune cristiano, esso costituisce l'articolarsi della sua risposta quotidiana alla missione ricevuta da Dio sulla terra.

Negli insegnamenti di questo ormai prossimo santo, il lavoro rivela — in Cristo e nel cristiano — una dimensione soprannaturale che ne esalta il valore, tanto che egli non esitava ad affermare: «La vostra vocazione umana è parte importante della vostra vocazione divina. Ecco il motivo per cui dovete santificarvi — collaborando al tempo stesso alla santificazione degli altri — santificando precisamente il vostro lavoro e il vostro ambiente, e cioè la professione o il mestiere che riempie i vostri giorni, che dà una fisionomia peculiare alla vostra personalità umana, che è il vostro modo di essere presenti nel mondo» (ibid., n. 46). Difficile immaginare un'asserzione più convinta della secolarità quale modalità di presenza salvifica della Chiesa nel mondo.

Da tutto questo si vede come il fondatore dell'Opus Dei assume il lavoro nel senso più ampio, come attività, opera dell'uomo. Da questo punto di vista, esso diventa sinonimo di vita ordinaria: quel tessuto di vicende, rilevanti o apparentemente insignificanti, che si intrecciano nella giornata del comune fedele. Questo passo, tratto da una delle sue omelie, presenta spunti molto suggestivi per la vita spirituale: «Parlando con rigore teologico, senza limitarci a una classificazione funzionale, non si può dire che ci siano realtà — buone, nobili, e anche indifferenti — esclusivamente profane: perché il Verbo di Dio ha stabilito la sua dimora in mezzo ai figli degli uomini, ha avuto fame e sete, ha lavorato con le sue mani, ha conosciuto l'amicizia e l'obbedienza, ha sperimentato il dolore e la morte» (ibid., n. 112). Riprendiamo ora questo punto che, come detto, svolge un ruolo centrale negli insegnamenti di Josemaría Escrivá.

Qualche breve spunto tratto da Cammino: «La santità "grande" consiste nel compiere i "doveri piccoli" di ogni istante (n. 817). Fate tutto per Amore. — Così non ci sono cose piccole: tutto è grande. — La perseveranza nelle piccole cose, per Amore, è eroismo (n. 813). Hai mai osservato in quali "minuzie" si esprime l'amore umano? — Ebbene, anche l'Amore divino si esprime in "minuzie"» (n. 824). Si può affermare che l'intera opera del fondatore dell'Opus Dei si snoda come un inno, una lode del valore soprannaturale e umano della vita ordinaria vissuta in unione con Cristo, il Verbo fatto carne. Essa è non solo teatro, ma anche materia di santità, ove il gesto più insignificante diviene preghiera. Chi sa scorgere la dimensione soprannaturale dell'ordinario, chi lo vive come ricerca attiva dell'incontro con Cristo, assiste al suo quotidiano trasfigurarsi. Agli occhi della fede, anche ciò che a prima vista può apparire grigio, piatto, monotono, svela la presenza di Dio: «C'è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire» (Colloqui con Mons. Escrivá, n. 114).

Talvolta la preghiera raggiunge vertici che sembravano riservati alle possibilità espressive della poesia: «Siamo povere creature, eppure con l'aiuto della grazia troviamo oro puro, smeraldi e rubini dove altri non scorgono che fondi di bottiglia», diceva il fondatore dell'Opus Dei. E in questo senso amava ricordare che i cristiani sono «gli aristocratici dell'amore», perché tutto parla loro di Dio. È al tempo stesso poesia e teologia ciò che queste parole adombrano: «Il cielo e la terra, figli miei, sembra che si uniscano laggiù, sulla linea dell'orizzonte. E invece no, è nei vostri cuori che si fondono davvero, quando vivete santamente la vita ordinaria...» (Colloqui, n. 116).

5. Per la salvezza del mondo

Il cristiano è depositario di un patrimonio che non può custodire solo per sé. Nel cuore del messaggio del fondatore dell'Opus Dei Josemaría troviamo scolpita, con incisiva insistenza, la convinzione che la vocazione universale alla santità è vocazione all'apostolato. Il decreto sull'eroicità delle virtù asserisce che egli «richiamò tutti i fedeli ad inserirsi nel dinamismo apostolico della Chiesa, ognuno dal posto che occupa nel mondo». Davvero indimenticabile la considerazione di Cammino che dice: «Queste crisi mondiali sono crisi di santi» (n. 301).

Se andiamo alla radice, ancora una volta troviamo la meditazione del mistero di Cristo quale forza che dà linfa a questa consapevolezza di fede. Ecco un passo molto significativo: «Cristo ci ha insegnato in modo definitivo il cammino dell'amore a Dio: l'apostolato è amor di Dio che trabocca nel dono di se stessi agli altri. La vita interiore porta a crescere nell'unione con Cristo (...) e la sollecitudine apostolica è la manifestazione esatta, adeguata, necessaria, della vita interiore. Quando si assapora l'amore di Dio, si sente il peso delle anime. Non è possibile scindere vita interiore e apostolato, come non è possibile scindere in Cristo la sua condizione di Dio-Uomo e la sua missione di Redentore. Il Verbo volle incarnarsi per salvare gli uomini» (È Gesù che passa, n. 122).

E, ancora una volta, troviamo l'indicazione del lavoro professionale, dei rapporti sociali che spontaneamente ma non casualmente si stabiliscono nella vita ordinaria, come l'ambito normale del nostro apostolato. Tutti siamo stati chiamati alla fede per portare agli altri il medesimo dono. Ricordando un viaggio compiuto anni prima in una città di mare, questo nuovo santo scrive: «Un giorno, a sera inoltrata (...), vedemmo avvicinarsi una barca alla riva: ne balzarono fuori degli uomini bruni, forti come rocce (...), bruciati dal vento da sembrare di bronzo. Incominciarono a tirar fuori dall'acqua la rete (...): era piena di pesci lucenti, d'argento. Tiravano vivacemente, affondando i piedi nella sabbia, con sorprendente energia. D'improvviso sopraggiunse un bimbo (...): si avvicinò alla corda, l'afferrò con le sue manine e incominciò a tirare con evidente imperizia. Quei pescatori rudi, per nulla raffinati, certamente si sentirono intenerire il cuore, e consentirono al bambino di collaborare; non lo allontanarono, anche se più che altro era d'intralcio. Pensai a voi e a me (...); a questo nostro tirare le reti tutti i giorni, in tanti aspetti. Se ci presentiamo davanti a Dio nostro Signore come quel bambino, convinti della nostra debolezza, ma disposti ad assecondare i Suoi progetti, raggiungeremo la meta più facilmente: porteremo a riva la rete, piena di frutti abbondanti, perché dove le nostre forze vengono meno, interviene la potenza di Dio» (Amici di Dio, n. 14). È necessario lo sforzo di tutti perché la fecondità della Chiesa possa adeguarsi ai disegni di Dio.

Secondo noti e autorevoli studiosi: «Escrivá possiede la forza dei classici: la tempra di un Padre della Chiesa. E i suoi scritti (…) comunicano una dottrina che ha contribuito ad aprire una nuova epoca nella Chiesa» (cfr. C. Fabro, S. Garofano, A. Raschini in Santi nel mondo, ed. Ares, 1992, pag. 23). A far maturare sempre di più tale «nuova epoca» contribuirà, indubbiamente, l´evento della canonizzazione di Josemaría Escrivá.

Dopo aver ringraziato il Signore per avergli concesso di beatificare e canonizzare in questi anni, tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita, il Papa Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte ha lanciato l´ormai conosciuto apello: «È ora di riproporre a tutti, con convinzione questa misura alta della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione» (n. 31).

Si tratta di tutto un grande cammino fatto nella Chiesa, verso quella santità a cui ogni cristiano è chiamato: la santificazione personale dei comuni fedeli cristiani perché ciascuno, a sua volta, diventi con l´esempio e con la parola un centro d´irradiazione di spiritualità per la salvezza del mondo.

L'Osservatore Romano, 21 settembre 2002