San Josemaría Escrivá, modello di vita sacerdotale

In questo articolo, Mons. Javier Echevarría, evoca la figura e gli insegnamenti di San Josemaría Escrivá sull sacerdozio. "Il profondo affetto – anzi, venerazione – che il fondatore dell’Opus Dei nutriva nei confronti dei suoi fratelli nel sacerdozio."

Evocare la figura e gli insegnamenti di questo santo sacerdote costituisce per me una gioia molto grande. Se, inoltre, le persone che mi ascoltano sono sacerdoti, la mia allegria aumenta, perchè conosco bene il profondo affetto – anzi, venerazione – che il fondatore dell’Opus Dei nutriva nei confronti dei suoi fratelli nel sacerdozio.

Come gioiva quando aveva occasione di riunirsi con loro! Imparava da tutti e, a coloro che glielo chiedevano, non aveva riserbo di aprir loro il suo cuore per parlare dei grandi amori della sua vita: Cristo e Maria, la Chiesa e il Papa, tutte le anime. Era solito dire che, in queste occasioni, si sentiva come colui che va a vendere il miele all’apicoltore. Il suo miele, però, era di una tale qualità, che quelli che lo assaggiavano se ne andavano via da queste riunioni con rinnovati desideri di fedeltà alla vocazione, con l’anima ricolma di ottimismo, decisi a spendersi con gioia nel lavoro pastorale e apostolico.

Identità del sacerdote

Comincerò il mio intervento con alcune parole che San Josemaría era solito rivolgere a coloro che erano appena stati ordinati sacerdoti, ma che servono anche a noi – e forse ancor di più – che abbiamo già molti anni di sacerdozio. Diceva: «Siate, in primo luogo, sacerdoti; poi, sacerdoti; sempre e in tutto soltanto sacerdoti». Da questa affermazione traspare il suo altissimo concetto di sacerdozio ministeriale, attraverso il quale alcuni poveri uomini – perchè questo siamo davanti al Signore – sono costituiti ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio (1 Cor 4,1). Era così salda la sua fede nell’identificazione sacramentale con Cristo che si attua nel sacramento dell’Ordine, che la sua unica ambizione, confronto alla quale erano ben poca cosa tutti gli onori della terra, era semplicemente essere sacerdote di Gesù Cristo.

I santi, sin dai tempi più antichi, si sono soffermati a commentare la dignità del sacerdozio. Diversi Papi – tra questi ricordo soprattutto San Pio X, Pio XI e l’attuale Romano Pontefice – hanno scritto documenti indimenticabili, che hanno alimentato la nostra vita sacerdotale. Anche San Josemaría ci ha lasciato il suo insegnamento. In un’omelia del 1973, quando si stavano diffondendo voci confuse sull’identità del sacerdote e sul valore del sacerdozio ministeriale, riassumeva il suo pensiero nelle seguenti parole: «L’identità del sacerdote è questa: essere strumento immediato e quotidiano della grazia salvifica che Cristo ha meritato per noi. Quando si comprende questo principio, quando lo si medita nell’attivo silenzio della preghiera, come possiamo considerare il sacerdozio una rinuncia? È un guadagno incalcolabile. Maria Santissima, nostra Madre, la più santa delle creature – più di Lei soltanto Dio – trasse una sola volta Gesù al mondo; i sacerdoti lo portano su questa terra, offrendolo al nostro corpo e alla nostra anima tutti i giorni: e Cristo viene, per nutrirci, per vivificarci, per essere, sin da ora, pegno della vita futura» 1.

Il senso della grandezza del sacerdozio lo portava a curare con attenzione la sua vocazione sacerdotale, della quale si scopriva ogni giorno più innamorato. Quando, per soddisfare le richieste di coloro che si trovavano al suo fianco, si riferiva a volte al processo della sua vocazione, metteva sempre in rilievo l’iniziativa di Dio, che Gli si fece incontro quando aveva quindici o sedici anni. Come sapete bene, fu a Logroño, nel dicembre del 1917 o nel gennaio del 1918, dove l’adolescente Josemaría Escrivá ebbe i primi presentimenti – così li definiva – del fatto che il Signore lo chiamava per qualcosa che non sapeva cose potesse essere. Non gli era mai passata per la testa la possibilità del sacerdozio. Certamente, davanti a questa azione di Dio, al fine di prepararsi meglio a compiere la Volontà divina, decise di entrare in Seminario. Del tutto sinceramente, anni dopo, poteva affermare che la molla della sua vocazione sacerdotale era stata «una chiamata di Dio, un presagio d’amore, un innamoramento di un ragazzo di quindici o sedici anni» 2.

Nel Seminario di Logroño ricevette la prima formazione sacerdotale, che poi completò a Saragozza. Dio voleva che la semente che aveva lanciato sulla terra il 2 ottobre 1928 trovasse un cuore di sacerdote preparato a fondo per accoglierla e farla fruttificare. Per questo, con gratitudine al Signore, San Josemaría affermava che la sua vocazione era – lasciate che insista – quella di essere sacerdote, soltanto sacerdote, sempre sacerdote. Amava alla follia questa condizione che, configurandolo a Cristo, lo aveva preparato ad essere strumento, nelle mani di Dio, per la fondazione dell’Opus Dei.

Dono e missione

Nell’enumerare le condizioni dei candidati al sacerdozio, una volta si prescriveva che dovevano essere scelti tra gli uomini che conducevano una vita onesta. Questa formulazione, minimalista e ora superata, sembrava molto povera a San Josemaría. «Comprendiamo, insieme a tutta la tradizione ecclesiastica – scriveva nel 1945 – che il sacerdozio chiede – per le funzioni sacre che gli competono – qualcosa di più di una vita onesta: esige una vita santa in coloro che lo esercitano, costituiti – come sono – in mediatori tra Dio e gli uomini» 3.

Josemaría Escrivá aveva ricevuto, all’interno della sua famiglia e a scuola, una formazione profondamente cristiana, che comprendeva la conoscenza della dottrina, la frequenza dei sacramenti, la preoccupazione concreta per le necessità spirituali e materiali delle persone, come mettono in rilievo testimoni di quell’epoca. Nel ricevere la chiamata al sacerdozio, la sua esistenza cambiò radicalmente, in quanto aumentò l’intensità e la frequenza del suo rapporto con il Signore e la sua preoccupazione apostolica per gli altri. Questo lo portò ad una maturità impropria per gli anni che aveva, ma soprannaturalmente logica. Si compiva nella sua vita ciò che afferma la Sacra Scrittura: super senes intellexi quia mandata tua servavi 4, ho acquistato più prudenza degli anziani perché ho osservato fedelmente i tuoi precetti. Da quei presentimenti, l’adolescente Josemaría cominciò a prendere sul serio la santità cercando di conoscere e compiere fedelissimamente la Volontà di Dio.

Quando il Concilio Vaticano II, nel capitolo V della Costituzione dogmatica Lumen gentium, affronta il tema della vocazione dei battezzati alla santità, afferma: «I seguaci di Cristo, chiamati da Dio e giustificati in Gesù Cristo non secondo le loro opere, ma secondo il disegno e la grazia di Lui, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi, quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che hanno ricevuto» 5.

In quanto membra del Corpo Mistico di Cristo, al quale siamo stati innestati attraverso il Battesimo, tutti siamo stati santificati radicalmente: portiamo in noi stessi il germe e l’inizio delle vita nuova che Cristo ci ha guadagnato con la Sua Morte e Resurrezione. La consacrazione battesimale è la realtà fondante della chiamata alla santità in tutti i generi di vita. Da questo punto di vista, accogliendo l’assoluta gratuità di ciò che abbiamo ricevuto, la santificazione appare chiaramente nella sua dimensione di dono: un regalo immeritato che nostro Padre-Dio ci elargisce, in Cristo, attraverso lo Spirito Santo. Allo stesso tempo, la santificazione è una chiamata personale, una missione che fa affidamento sulla responsabilità di ogni cristiano. San Josemaría dirà che è opera di tutta la vita 6.

La santità è, poi, dono e missione. Donazione gratuita di un bene immeritato e, allo stesso tempo, incarico che devi portare a compimento con sforzo personale, con corrispondenza eroica, impegnandoti sul serio nella vita cristiana.

La santità sacerdotale come dono

Dal momento che è una e identica la condizione radicale di tutti i battezzati, tutti – sacerdoti e laici – siamo convocati allo stesso modo alla pienezza della vita cristiana. «Non esiste una santità di seconda classe: o si lotta incessantemente per essere in grazia di Dio e per conformarsi a Cristo, nostro Modello, o si è disertori nelle battaglie divine. Il Signore invita tutti affinchè ciascuno si santifichi nel proprio stato» 7.

Siamo davanti ad una delle intuizioni fondamentali che San Josemaría Escrivá predicò, per incarico divino, dal 1928. Nel fondare l’Opus Dei, il Signore gli fece vedere che ogni persona deve cercare di santificarsi nel proprio stato, nel tipo di vita alla quale è stata chiamata, nel suo proprio lavoro e attraverso il suo lavoro, secondo la nota espressione di San Paolo: unusquisque, in qua vocatione vocatus est, in ea permaneat (1 Cor 7,20).

La santità, nei sacerdoti come nei laici, si edifica, pertanto, sullo stesso fondamento: la consacrazione originaria del Battesimo, perfezionata dalla Cresima. Certamente, è chiaro che il dovere di tendere alla santità coinvolge soprattutto il sacerdote, che è stato scelto tra gli uomini e costituito a vantaggio degli uomini nelle cose che riguardano Dio, affinchè offra doni e sacrifici per i peccati (Hb 5,1).

«A costante contatto con la santità di Dio – ha scritto Giovanni Paolo II – il sacerdote deve lui stesso diventare santo. È il medesimo suo ministero ad impegnarlo in una scelta di vita ispirata al radicalismo evangelico» 8. E aggiunge nel libro Dono e mistero, scritto in occasione del cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale: «Se il Concilio Vaticano II parla della universale vocazione alla santità, nel caso del sacerdote bisogna parlare di una speciale vocazione alla santità. Cristo ha bisogno di sacerdoti santi! Il mondo di oggi reclama sacerdoti santi! Soltanto un sacerdote santo può diventare, in un mondo sempre più secolarizzato, un testimone trasparente di Cristo e del suo Vangelo. Soltanto così il sacerdote può diventare guida degli uomini e maestro di santità» 9.

Il sacerdote è stato consacrato due volte da Dio: nel Battesimo, come tutti i cristiani, e nel sacramento dell’Ordine. Per questo, sebbene non si possa parlare di santità di prima o seconda classe – perchè tutti siamo invitati alla stessa perfezione del Padre celeste (cfr. Mt 5,48) –, non ci sono dubbi che soprattutto sui sacerdoti ricade il dovere di tendere alla santità. Riportiamo alcune parole del Fondatore dell’Opus Dei che risultano particolarmente chiarificatrici: «Tutti noi cristiani possiamo e dobbiamo essere non soltanto alter Christus, bensì ipse Christus: un altro Cristo, lo stesso Cristo! Ma il sacerdote lo è in modo immediato, in forma sacramentale» 10.

Nell’esercizio del ministero per il quale è stato ordinato, il sacerdote trova l’alimento della sua vita spirituale, ciò he lo fa ardere di amore a Dio. Per questo, sarebbe un grave errore se altre aspirazioni o altri incarichi facessero svanire dalla sua anima ciò che, per lui, si concretizza in qualcosa di indispensabile per raggiungere la santità: la celebrazione attenta e piena di amore del Sacrificio della Messa, la predicazione della Parola di Dio, l’amministrazione dei sacramenti ai fedeli, soprattutto quello della Penitenza; una vita di orazione costante e di penitenza allegra; la cura delle anime che si sono loro affidate, insieme ai mille servizi che una carità vigilante sa dispensare.

Da quando percepì la chiamata al sacerdozio, e più esplicitamente da quando fu ordinato sacerdote, San Josemaría volle identificarsi con Cristo, essere lo stesso Cristo, nell’esercizio del ministero sacerdotale e in tutta la sua esistenza. Da qui, la sua vita di orazione, la sua celebrazione attenta della Messa, la sua “necessità” di restare per lunghi momenti davanti al Tabernacolo; e allo stesso tempo la sua urgenza di cercare anime per portarle, in Cristo, lungo cammini di santità. Comprese che si può e si deve avere una condotta santa in tutti gli stati della vita, e concretamente nel matrimonio; per questo, sin dai suoi primi anni come pastore, oltre ad incamminare molte persone per le vie del celibato apostolico assunto con vera allegria, incoraggiò molte altre a scoprire la dignità della vocazione al matrimonio.

Scrive Giovanni Paolo II: «Il senso del proprio sacerdozio si ritrova ogni giorno di più in quel Mysterium fidei. È lì la misura del dono che esso costituisce, e lì è pure la misura della risposta che questo dono richiede. Il dono è sempre più grande! Ed è bello che sia così. È bello che un uomo non possa mai dire di aver risposto pienamente al dono. È un dono ed è anche un compito: sempre! Avere consapevolezza di questo è fondamentale per vivere appieno il proprio sacerdozio» 11.

San Josemaría Escrivá celebrava ogni giorno la Santa Messa con passione di innamorato, ben cosciente che «per mezzo del Sacramento dell’Ordine, il sacerdote è reso effettivamente idoneo a prestare a Gesù nostro Signore la voce, le mani e tutto il suo essere» 12. Ascoltate come descriveva in una riunione familiare questa misteriosa eclissi della personalità umana del sacerdote, che in questi momenti si converte in strumento vivo di Dio:

«Arrivo all’altare e la prima cosa che penso è: Josemaría, tu non sei Josemaría Escrivá de Balaguer (...): sei Cristo. Tutti noi sacerdoti siamo Cristo. Io presto al Signore la mia voce, le mie mani, il mio corpo, la mia anima: gli dò tutto. È Lui che dice: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, colui che consacra. Altrimenti, io non potrei farlo. Lì si rinnova in modo incruento il divino Sacrificio del Calvario. Sono lì in persona Christi, facendo le veci di Cristo. Il sacerdote scompare come persona concreta: don Fulano, don Mengano o Josemaría... No signori: è Cristo» 13.

La santità sacerdotale come missione

La grandezza incomparabile del sacerdote ha il suo fondamento nella sua identificazione sacramentale con Cristo, che lo porta ad esssere ipse Christus e ad agire in persona Christi capitis, soprattutto nella celebrazione eucaristica e nel ministero della Riconciliazione. «E’ una grandezza ricevuta in prestito – commentava San Josemaría Escrivá –, compatibile con la mia pochezza. Prego Dio nostro Signore – aggiungeva – che conceda a tutti noi sacerdoti la grazia di realizzare santamente le cose sante, di rispecchiare con la nostra stessa vita lo splendore delle grandezze del Signore» 14.

Ogni cristiano deve fare in modo che la sua condizione di seguace di Gesù Cristo si rifletta in tutta la sua condotta: la famiglia, la professione, l’attività sociale, pubblica, sportiva... anche nell’esistenza concreta del sacerdote, nella sua vita quotidiana, si deve manifestare la sua specifica appartenenza a Cristo. Per il carattere indelebile ricevuto nell’ordinazione, egli è sacerdote durante tutte le ventiquattrore del giorno, non soltanto nei momenti in cui esercita espressamente il suo ministero. Conviene averlo molto presente nell’epoca attuale, quando vanno scomparendo – dalla nostra società multiculturale e multireligiosa – tanti segni che ricordavano ai nostri antenati la priorità di Dio e della vita soprannaturale. Non lo dico con pessimismo, bensì con il desiderio che tutti ci sforziamo perchè non vadano perdute le radici cristiane del nostro popolo, che hanno anche manifestazioni di pietà, nei tratti della cultura, dell’arte e dei costumi.

Alla meta della santità, il sacerdote deve arrivare come attraverso un piano inclinato, sotto la direzione dello Spirito Santo, che è colui che modella nei figli adottivi di Dio i tratti di Gesù Cristo. In questo processo, che dura tutta la vita, insieme all’azione soprannaturale della grazia, risulta decisiva la risposta docile della creatura.

Senza sforzo per esercitare le virtù, senza lotta per svilupparle quotidianamente, con costanza, non è possibile la santità. In cosa si centrano gli abiti virtuosi che devono fare da colonna vertebrale della santità dei sacerdoti? Come per gli altri fedeli, dal momento che tutti siamo chiamati all’identica meta – l’unione con Dio – e disponiamo degli stessi mezzi per raggiungerla. La differenza sta nel modo in cui esercitare queste virtù. Nel sacerdote, tutto si deve compiere sacerdotalmente; ovvero, avendo sempre presente la finalità della sua vocazione specifica, il servizio alle anime. Dobbiamo seguire l’esempio del Signore, che affermò di se stesso: Pro eis ego sanctifico meipsum, ut sint et ipsi sanctificati in veritate (Jn 17,19).

Non voglio, in questo breve lasso di tempo, esporre un elenco completo delle virtù sacerdotali. Mi limiterò a presentarne alcune che ritengo capitali nell’insegnamento e nell’esempio di San Josemaría.

Virtù umane del sacerdote

Utilizzando la metafora della costruzione – immagine di radice biblica –, quello che si cerca per primo è un terreno solido. Lo stesso Cristo allude a questa necessità, nella conclusione del Discorso della Montagna, quando parla dell’uomo prudente che costruì la sua casa sopra la roccia, in modo che quando fossero arrivati i venti e le piogge nulla potessero contro la sua casa (cfr. Mt 7,24-25).

Nella vita spirituale del cristiano, il terreno solido dell’edificio spirituale si configura per le virtù umane, perchè la grazia richiede sempre la natura. Conviene non dimenticare che il sacerdote non smette di essere uomo nel ricevere l’ordinazione. Al contrario, proprio perchè è stato tolto dagli uomini e costituito mediatore tra gli uomini e Dio (cfr. Hb 5,1), è necessario che curi particolarmente la sua preparazione umana, di cui ha bisogno per servire meglio le anime.

«Comprende questa formazione – scrive Mons. Álvaro del Portillo – l’insieme delle virtù umane che si integrano direttamente o indirettamente nelle quattro virtù cardinali, e il bagaglio della cultura non ecclesiatica indispensabile perchè il sacerdote possa esercitare con facilità – aiutato, in ogni momento, dalla grazia – il suo apostolato» 15. Il mio predecessore alla guida della Prelatura dell’Opus Dei metteva in risalto i motivi principali che devono spingere il sacerdote ad ottenere e sviluppare queste virtù: «Per prima cosa, come parte della lotta ascetica normalmente necessaria per giungere alla perfezione; poi, come mezzo per esercitare con maggior efficacia l’apostolato» 16.

Nella vita e negli insegnamenti di San Josemaría, spicca questo aspetto basilare della formazione cristiana e di quella specificamente sacerdotale. Abbiamo numerose prove di questa affermazione, dalla sua infanzia fino alla sua morte nel 1975. I testimoni del suo lavoro pastorale si mostrano concordi nel descriverlo come un uomo innamorato di Gesù Cristo, donato al servizio delle anime, con una personalità forte e armonica, in ciò in cui l’umano e il soprannaturale si fondano strettamente nell’unità di vita. Per quello che si riferisce ai suoi insegnamenti, risulta paradigmatica l’omelia “Virtù umane”, raccolta nel libro Amici di Dio, dove si colloca il fondamento teologico della necessità di coltivare le virtù umane: la profondità dell’Incarnazione del Verbo, perfetto Uomo senza smettere di essere perfetto Dio. In questa omelia analizza le principali virtù che un cristiano e un sacerdote devono coltivare: la rettitudine, la serenità, la pazienza, la laboriosità, la temperanza, l’audacia, la magnanimità, la lealtà, l’ottimismo, l’allegria.

Sul fondamento dell’umiltà

«L’umiltà è il fondamento della nostra vita, mezzo e condizione di efficacia» 17, scrive San Josemaría, in sintonia con la tradizione spirituale del Cristianismo. Evidentemente si riferisce al fondamento morale, perchè quello teologale – come predicò con la sua condotta e con i suoi insegnamenti – si centra sulla fede teologale, che ci porta a vivere con profondità il senso della nostra filizione divina in Cristo. Questa convinzione mette davanti agli uomini la verità più profonda su noi stessi e, pertanto, potenzia necessariamente l’umiltà, che non riflette altro se non quell’ “andare nella verità” della Santa di Ávila: il camminare nella fede.

Con una fede retta, come base della risposta cristiana, si elude l’errore di presentare l’umiltà come mancanza di decisione o di iniziativa, come rinuncia all’esercizio dei diritti che sono doveri. Niente di più lontano dal pensiero del fondatore dell’Opus Dei. «Essere umili – predicava in una certa occasione – non vuol dire andare sporchi, nemmeno trascurati; nè mostrarsi indifferenti davanti a tutto ciò che succede al nostro fianco, in una continua rinuncia dei diritti. Tantomeno andar dicendo cose sciocche contro se stessi. Non ci può essere umiltà dove c’è commedia e ipocrisia, perchè l’umiltà è la verità» 18.

Così importante è questa virtù nella vita cristiana, che San Josemaría assicurava che, «allo stesso modo in cui si condiscono con il sale gli alimenti, perchè non siano insipidi, nella nostra vita dobbiamo metterci sempre l’umiltà» 19. E ricorreva ad un paragone classico: «Non fate come le galline che, dopo aver deposto appena un uovo solo, assordano chiocciando per tutta la casa. Dovete lavorare, dovete svolgere il lavore intellettuale o manuale, e sempre apostolico, con grandi intenzioni e grandi desideri – che il Signore trasforma in realtà – di servire Dio e passare inavvertiti» 20.

Torniamo però a considerare il fondamento teologale ovvero la fede e con la fede la speranza: non c’è santità se non si sviluppa una fede onnicomprensiva della realtà, se non si alimenta – come la forza che spinge il peregrinare terreno – la virtù della speranza. Sin dal primo momento, il Fondatore dell’Opus Dei fu ben cosciente che la missione che Dio gli aveva affidato era immensamente superiore alle sue forze. Per questo ricorreva con insistenza, senza mai abbandonarli, agli unici mezzi capaci di mettere alla nostra portata l’onnipotenza divina: l’orazione e la mortificazione. Sono innumerevoli i testimoni che documentano come andò mendicando, tra gli ospedali e i quartieri emarginati di Madrid, come se si trattasse di un tesoro, la preghiera e l’offerta a Dio del dolore di molta gente abbandonata, alla quale portava il consiglio e l’incoraggiamento della sua assistenza sacerdotale.

Quanto bisogno abbiamo noi sacerdoti che la nostra fede e la nostra speranza aumentino ogni volta di più! Ci troviamo messi in un lavoro in cui ciò che più conta, l’unica cosa che davvero è necessaria (cfr. Lc 10,42), sono i mezzi soprannaturali. Si richiedono veri miracoli per portare le anime fino a Dio. Certamente, «Si sente dire, ogni tanto, che oggi i miracoli sono meno frequenti. Non sarà invece che sono meno oggi le anime che vivono vita di fede?» 21. Queste parole di San Josemaría risuonano nelle nostre orecchie come un richiamo all’ordine, una chiamata al nostro senso di responsabilità, perchè il sacerdote deve essere, prima di tutto, un uomo di fede e un uomo pieno di speranza. «Per mezzo della fede – scrive il Papa – accede ai beni invisibili che costituiscono l’eredità della Redenzione del mondo portata a compimento dal Figlio di Dio» 22.

La fede è il fondamento delle cose che si sperano, prova di quelle che non si vedono (Hb 11,1). Ed è «nell’orazione perseverante di ogni giorno, quando riese facile o quando risulta arida, che il sacerdote, come ogni cristiano, riceve da Dio (...) luci nuove, fermezza nella fede, sicura speranza nell’efficacia soprannaturale del suo lavoro pastorale, amore rinnovato: in una parola, la spinta per perseverare in questo lavoro e la radice dell’effettiva efficacia del lavoro stesso» 23. In queste parole di Mons. del Portillo, il più stretto collaboratore del Fondatore dell’Opus Dei per molti anni, possiamo scoprire una delicata allusione alla vita spirituale di San Josemaría, che ricevette da Dio la grazia di essere contemplativo in mezzo ai lavori più assorbenti. Aggiunge don Álvaro: «Senza orazione, e senza orazione che si sforza di essere continua, in mezzo alle faccende della giornata, non c’è identificazione con Cristo come compito pur essendo questa un dono. Inoltre, oso dire che un sacerdote senza orazione, se non falsifica l’immagine che dà di Cristo – Modello per tutti –, la presenta come una nebulosa che non attrae nè orienta, che non serve da nord al popolo che ci vede o ci ascolta» 24.

Carità pastorale

Arriviamo così alla virtù più significativa e caratteristica della vita cristiana: la carità, che nel sacerdote acquista alcuni contorni precisi: è la carità pastorale. In poche parole, nasce dalla consapevolezza di essere rappresentante di Gesù Cristo, il Pastore supremo (1 Pe 5,4) delle anime, che ha dato la vita per le sue pecore (cfr. Jn 10,11). Questa convinzione soprannaturale deve spingere il sacerdote a spendersi fino all’estremo nell’esercizio del suo ministero, perchè lo spinge la carità di Cristo (cfr. 2 Cor 5,14). Una carità pastorale, forte e costantemente alimentata dall’Eucaristia e dall’orazione, darà efficacia di frutti al suo ministero.

La figura di San Josemaría appare molto illuminante a questo proposito. Sin dai primi momenti della sua vocazione, non si risparmiò alcun lavoro nel servizio della anime. Prima ho accennato brevemente al suo andare avanti e indietro per i quartieri periferici di Madrid negli anni ‘20 e ‘30, in perenne contatto con la povertà e la malattia, assistendo i moribondi, consolando i malati, spiegando ai bambini e agli adulti la dottrina cristiana. Posso assicurare – perchè l’ho contemplato con i miei occhi – che in questo modo spese il resto della sua esistenza, fino all’ultima giornata: sempre a disposizione degli altri, vicini e lontani, conosciuti o no: pregava e si mortificava gioiosamente per tutte le anime, senza eccezione alcuna.

La peculiare appartenenza della persona a Dio, che si realizza con l’ordinazione sacerdotale, fà sì che il sacerdote si vincoli e si consacri totalmente al servizio e all’amore esclusivo di Cristo. Con tale apertura si presenta la ricchezza di questo dono, che può assumere come sue – in un senso particolarmente profondo – le parole dell’Apostolo: mihi vivere Christus est (Flp 1,21), vivo autem iam non ego, vivit vero in me Christus (Gal 2,20). D’altra parte, la missione ricevuta ha un carattere universale: il sacerdote viene inviato al mondo intero, come strumento vivo di Cristo, che donò se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e per preparare per se è un popolo scelto, zelante nel bene (Tt 2,14).

L’identificazione sacramentale con Cristo, insieme alla missione ricevuta, si trova nel fondamento delle peculiari esigenze della carità pastorale, e collocano il sacerdote in una situazione speciale nel mistero di Cristo e della Chiesa. Commentando l’approfondimento dottrinale operato a questo proposito dal Concilio Vaticano II, Mons. Álvaro del Portillo scrive: «Se si considera che l’Amore incarnato tra gli uomini evitò qualsiasi legame umano – per giusto e nobile che fosse – che potesse in qualche momento ostacolare o togliere pienezza alla sua totale dedicazione ministeriale, si comprende bene la convenienza del fatto che il sacerdote faccia lo stesso, rinunciando liberamente – per il celibato – a qualcosa in sè buono e santo, per unirsi più facilmente a Cristo con tutto il cuore, e attraverso Lui e in Lui dedicarsi con più libertà all’intero servizio di Dio e degli uomini» 25.

Il celibato sacerdotale si configura come manifestazione della completa oblazione della sua vita che il sacerdote, liberamente, offre a Cristo e alla Chiesa. In quest’ottica, si comprendono bene le parole di San Josemaría in un momento di conversazione familiare, nel 1969. «Il sacerdote, se ha vero spirito sacerdotale, se è uomo di vita interiore, non si potrà mai sentire solo. Nessuno come lui potrà avere un cuore così innamorato! È l’uomo dell’Amore, il rappresentante tra gli uomini dell’Amore fatto uomo. Vive per Gesù Cristo, con Gesù Cristo e in Gesù Cristo. È una realtà divina che mi commuove fino nell’intimo, quando tutti i giorni, alzando e tenendo tra le mani il Calice e l’Ostia Sacra, ripeto adagio, assaporandole, queste parole del Canone: Per Ipsum, et cum Ipso et in Ipso... Per Cristo, con Cristo, in Cristo e per le anime io vivo. Del suo Amore e per il suo Amore io vivo, nonostante le mie miserie personali. E nonostante queste miserie, o forse per esse, il mio Amore è un amore che ogni giorno si rinnova» 26.

Fraternità sociale

Amando tutte le anime senza eccezione, San Josemaría riservava un amore di predilezione ai suoi fratelli sacerdoti. Ho già accennato alla sua gioia quando poteva riunirsi con loro, per imparare dalla loro donazione – tante volte eroica – e per trasmettere loro allo stesso tempo qualcosa della sua esperienza personale. Non posso però non ricordare i suoi sacrifici concreti per i sacerdoti, specialmente durante gli anni in cui visse in Spagna. Negli anni ‘40, ad esempio, su richiesta dei Vescovi diocesani, predicò molti corsi di ritiro al clero, che aveva bisogno di aiuto spirituale dopo la terribile prova della persecuzione religiosa degli anni precedenti. San Josemaría si diede completamente a questo compito, e arrivò ad assistere, a volte, più di mille sacerdoti in un solo anno.

Fino alla fine della sua vita, rivolse una richiesta urgente al Signore, affinchè inviasse alla Chiesa molte vocazioni sacerdotali. Personalmente, preparò e incamminò ai seminari un gran numero di giovani con inquitudini vocazionali nei confronti del sacerdozio. E spingeva i fedeli laici a pregare con insistenza il Padrone della messe, perchè mandasse operai alla sua messe (cfr. Mt 9,37-38). Per San Josemaría, il polso della vitalità soprannaturale di una Diocesi viene misurato dal numero di vocazioni sacerdotali, delle quali i principali responsabili sono gli stessi sacerdoti.

Come lo rattristava trovarsi con qualcuno che non aveva a cuore questo lavoro! Perchè questa trascuratezza costituisce un segnale chiaro del fatto che lo stesso sacerdote non è contento della sua chiamata. Viene alla mia memoria la sua risposta immediata a una domanda sulle cause della scarsezza di vocazioni per i seminari: «Forse la prima ragione è che molte volte i sacerdoti non valorizzano bene il tesoro che hanno tra le mani e, per questo, non riescono a far ardere la gente giovane dal desiderio di possedere questo tesoro. I seminari saranno pieni, se noi ameremo di più il nostro sacerdozio» 27.

Era preoccupato per la santità del clero già da molti anni. Aveva molto chiaro che il primo apostolato dei sacerdoti deve essere tra gli stessi sacerdoti: non lasciarli mai soli tra le loro pene, condividere le loro gioie, incoraggiarli nelle difficoltà, rafforzarli nei momenti di dubbio... conservò inciso a fuoco nella sua anima quelle parole della Sacra Scrittura: frater, qui adiuvatur a fratre, quasi civitas firma (Prv 18,19), il fratello che è aiutato dai suoi fratelli è forte come una città fortificata.

Il suo zelo di aiutare i suoi fratelli nel sacerdozio cresceva così intensamente che, nel 1950, quando l’Opus Dei aveva ricevuto l’approvazione definitiva della Santa Sede, pensò di dedicarsi del tutto ai sacerdoti diocesani. Quando già aveva offerto al Signore il sacrificio di Abramo – poichè era deciso a lasciare l’Opera se fosse stato necessario – il Cielo gli fece capire che non era necessario questo sacrificio. Nello spirito dell’Opus Dei, che insegna ai cristiani a santificarsi in mezzo al mondo, ciascuno nella propria occupazione o compito, si trovava anche lo stesso luogo di incontro con Dio per i sacerdoti diocesani; bastava che, in piena comunione con il loro Ordinario e con il vescovo della Diocesi, cercassero la santità nell’esercizio dei doveri ministeriali, trattando con speciale venerazione il vescovo diocesano, uniti inseparabilmente ai loro fratelli nel sacerdozio. Le porte della Società Sacerdotale della Santa Croce, alla quale appartenevano già i sacerdoti incardinati all’Opus Dei, si allargarono per dare accoglienza ai sacerdoti diocesani che ricevessero questa specifica chiamata divina.

Oggi, in questa terra de La Rioja, dove il lavoro dell’Opus Dei si trova perfettamente integrato nella Diocesi ormai da molti anni, elevo il mio cuore riconoscente alla Trinità Beatissima per gli abbondanti frutti che anche la Società Sacerdotale della Santa Croce ha portato e continua a portare, al servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Tutto è frutto della grazia che Dio ci dona per mezzo della sua Santissima Madre; grazia alla quale San Josemaría corrispose pienamente ottantacinque anni fa, quando – proprio a Logroño – ricevette la chiamata al sacerdozio.

Discurso en el acto académico celebrado en honor de San Josemaría, en el Seminario diocesano de Logroño. Logroño, 18-I-2003. Publicado en las Actas del congreso la “Grandeza de la vida corriente”, vol X.

Note

1) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Homilía Sacerdote para la eternidad, 13-IV-1973.

2) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Apuntes tomados en una reunión familiar, 28-III-1966.

3) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Carta 2-II-1945, n. 4.

4) Sal 118/119, 100.

5) CONCILIO VATICANO II, Const. dogm. Lumen gentium, n. 40.

6) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Camino, n. 285.

7) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Homilía Sacerdote para la eternidad, 13-IV-1973.

8) JUAN PABLO II, Don y misterio.

9) JUAN PABLO II, Don y misterio.

10) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Homilía Sacerdote para la eternidad, 13-IV-1973.

11) JUAN PABLO II, Don y misterio.

12) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Homilía Sacerdote para la eternidad, 13-IV-1973.

13) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Apuntes tomados en una reunión familiar, 10-V-1974.

14) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Homilía Sacerdote para la eternidad, 13-IV-1973.

15) MONS. ÁLVARO DEL PORTILLO, Escritos sobre el sacerdocio, 6ª ed., Rialp 1991, p. 23.

16) MONS. ÁLVARO DEL PORTILLO, Escritos sobre el sacerdocio, 6ª ed., Rialp 1991, p. 27.

17) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Carta 24-III-1930, n. 20.

18) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Apuntes tomados en una meditación, 25-XII-1972.

19) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Apuntes tomados en una meditación, 25-XII-1972.

20) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Apuntes tomados en una meditación, 25-XII-1972.

21) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Amigos de Dios, n. 190.

22) JUAN PABLO II, Don y misterio.

23) MONS. ÁLVARO DEL PORTILLO, Escritos sobre el sacerdocio, 6ª ed., Rialp 1991, pp. 188.

24) MONS. ÁLVARO DEL PORTILLO, Escritos sobre el sacerdocio, 6ª ed., Rialp 1991, pp. 188-189.

25) MONS. ÁLVARO DEL PORTILLO, Escritos sobre el sacerdocio, 6ª ed., Rialp 1991, pp. 84-85.

26) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Apuntes tomados en una reunión familiar, 10-IV-1969.

27) SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Apuntes tomados en una reunión con sacerdotes, 3-XI-1972.