La Basilica di Santa Croce in Gerusalemme

È del tutto naturale che questo luogo, dove si venerano le reliquie della Passione del Signore, sia meta della pietà del popolo cristiano. San Josemaría andò a pregare nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme per la prima volta il 4 agosto 1946

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Tra i giudei era proibito seppellire i condannati nel cimitero comune, e questo fu uno dei motivi per cui portarono il corpo di Gesù in un sepolcro particolare, donato da Giuseppe d’Arimatea. Anche gli strumenti per la tortura usati per le esecuzioni si consideravano impuri e per questo si interravano o venivano gettati in qualche fenditura del terreno, fuori dalla portata della gente.

Non meno ignominiosa di questi strumenti doveva risultare la collina del Golgota – dove crocifissero Gesù – per gli abitanti di Gerusalemme, come rivelano le connotazioni sinistre del suo nome latino: Locus Calvariae, luogo dei teschi. Dopo la Resurrezione del Signore, senza dubbio produsse una grande sorpresa nella città il fatto che i cristiani si avvicinassero con frequenza a quel luogo desolato, per inginocchiarsi sulla terra che era stata bagnata dal sangue di Cristo e pregare presso il buco dove era stata piantata la Croce; andavano anche a baciare la roccia dove aveva riposato il suo corpo morto.

Molto probabilmente questa consuetudine dovette essere interrotta in alcune epoche, a causa delle persecuzioni e di altre vicende, come la distruzione di Gerusalemme nell’anno 70. Ciononostante, doveva ancora conservarsi nel secondo secolo, poiché l’imperatore Adriano (117-138) comandò di riempire con terra la depressione che separava il Golgota dal Santo Sepolcro e su questa nuova piattaforma fece edificare due templi: uno dedicato a Giunone, sul Sepolcro, e un altro dedicato a Venere, sulla cima del Golgota. Si sa che Adriano sentì una grande avversione per il cristianesimo alla fine della sua vita, ed è quasi sicuro che la costruzione di questi templi avesse il fine di cancellare per sempre le orme terrene della Redenzione.

I primi storici ecclesiastici commentavano non senza una certa ironia il paradossale risultato che, con il correre del tempo, ebbero questi sforzi dei pagani. Poveri uomini! – li apostrofava Eusebio di Cesarea – credevano fosse possibile nascondere al genere umano lo splendore del sole che si era alzato sul mondo! Ancora non comprendevano che è impossibile mantenere nascosto sottoterra Colui che ha già ottenuto la vittoria sulla morte1.In effetti, nel quarto secolo, quando la Chiesa ebbe finalmente la libertà, i due templi pagani permisero di localizzare senza margine d’errore la situazione dei Luoghi santi: bastò distruggerli e scavare sotto per trovare il Santo Sepolcro e la cima del Calvario.

Immagine dell'Imperatrice Sant'Elena che si trova sulla facciata della Basilica.

L’invenzione – ritrovamento – della Santa Croce

Colei che diede grande impulso alla riscoperta dei Luoghi Santi fu l’imperatrice Sant’Elena, che nell’anno 326 andò in Terra Santa. La madre di Costantino era già d’età avanzata – doveva sfiorare gli ottant’anni – ma non voleva morire senza aver prima pregato sulla terra dove il Signore era vissuto, morto e risorto.

Abbiamo pochi dati sulla gioventù di Elena. Probabilmente nacque in Bitinia ed ebbe umili origini. Secondo Sant’Ambrogio era stabularia - cioè cameriera o serva in una locanda – prima di sposarsi con Costanzo Cloro nel 273, unione da cui nacque Costantino l’anno dopo. Costanzo era un ambizioso ufficiale dell’esercito romano, che nel 293 ottenne la dignità di Cesare.

Quello stesso anno ripudiò la sua sposa, che non aveva sangue nobile, ed Elena rimase nell’ombra finché nel 306 suo figlio Costantino le diede il titolo di imperatrice. In quel momento Elena era già cristiana, e si servì della privilegiata posizione che occupava per fare il bene, esercitando la carità tra i bisognosi e favorendo l’estensione e la dignità del culto. Tanto brillava per la sua fede e la sua pietà che Sant’Ambrogio non dubitava nel tessere la sua lode dicendo: Donna grande, offrì all’imperatore molto di più di quello che ricevette da lui2.

Reliquiario con il "Titulus Crucis"

Al suo passaggio per la Terra Santa si deve la costruzione delle primitive basiliche della Natività, a Betlemme, e dell’Ascensione, sul Monte degli Ulivi. In quanto al Golgota, quando Elena arrivò a Gerusalemme erano appena stati demoliti i templi pagani, di modo che l’Imperatrice poté compiere il suo sogno di inginocchiarsi sulla terra dove il Nostro Salvatore era stato elevato sulla Croce e di pregare sulla roccia del Santo Sepolcro. Tuttavia, proprio lì si rese conto che non aveva ancora trovato la più importante delle reliquie.

Sant’Ambrogio ce la descrive con grande vita, che cammina tra le rovine dei templi romani accompagnata da soldati e operai. E si domanda: Qui c’è il luogo della battaglia; ma dov’è il trofeo della vittoria? Io sono su un trono e la croce del Signore è sotterrata dalla polvere? Io circondata d’oro e il trionfo di Cristo tra le rovine? Vedo che hai fatto tutto il possibile, diavolo, perché fosse sepolta la spada che ti ha ridotto in niente3.

I nuovi scavi che l’imperatrice ordinò di fare ebbero frutto quando, nel rimuovere un terreno vicino al Golgota, si trovarono tre croci, e la tavola sopra cui era stato scritto in ebraico, latino e greco: Gesù Nazareno Re dei Giudei. Così ebbe luogo l’invenzione della Santa Croce del Signore, che era rimasta nascosta per tre secoli. La santa imperatrice lasciò la maggior parte delle reliquie a Gerusalemme, ma portò con sé a Roma tre reliquie della Vera Crux, il titolo della condanna, uno dei chiodi e alcune spine della corona che i suoi carnefici misero a Gesù. Fece anche trasportare una gran quantità di terra del Golgota e i gradini di pietra della scala che il Signore percorse quattro volte il giorno della sua Passione, per comparire davanti a Pilato nel Pretorio.

Facciata della Basilica

La Basilica Sessoriana, o Santa Hierusalem

Esistono numerosi documenti dei secoli IV e V che descrivono come a partire dalla visita di Sant’Elena i cristiani veneravano le reliquie della Passione che erano rimaste a Gerusalemme. Così lo testimoniano Eusebio, Rufino, Teodoreto e San Cirillo di Gerusalemme. Egeria, una donna che peregrinò nei luoghi santi nel IV secolo, parla di moltitudini di fedeli che già allora andavano da tutto l’Oriente cristiano per prendere parte alle solennità in onore della Croce.

Un altro stoico, Socrate l’Ecclesiastico, raccolse a metà del secolo V una pia tradizione secondo la quale, durante una attraversata marittima che fece l’imperatrice per tornare a Roma da Gerusalemme, era sopraggiunta una forte tempesta. La nave si dibatteva tra le onde a punto di naufragare, finché Sant’Elena – dopo averlo attaccato a una corda per lanciarlo – fece toccare le acque il Santo Chiodo che portava con sé e il mare si calmò all’istante.

Reliquiario con due spine della corona

Quel chiodo, i tre frammenti della Croce e l’INRI furono piamente custoditi da Sant’Elena nella sua residenza imperiale, il palazzo Sessoriano. Dopo alcuni anni, probabilmente dopo la morte di sua madre, Costantino volle che si costruisse lì una basilica che prese il nome del palazzo, Basilica Sessoriana, anche se era anche chiamata Sancta Hierusalem. Como fondamenta simbolica di questa costruzione si mise la terra del Golgota che l’Imperatrice aveva portato dalla Palestina, e i preziosi frammenti della Santa Croce erano alla vista dei fedeli in un reliquiario d’oro adornato di gemme.

Della primitiva basilica costantiniana si conservano alcuni resti appartenenti alle mura esterne. A questa edificazione ne seguì un’altra nel secolo XII, a sua volta sostituita dal tempio di stile tardo-barocco, terminato nel 1744, che si può contemplare attualmente. Nonostante questi cambiamenti architettonici e altre vicissitudini storiche, come le invasioni subite da Roma, tutta una raccolta di documenti testimonia che le reliquie che si venerano in questa basilica sono le stesse che portò Sant’Elena dalla Terrasanta.

È del tutto naturale che questo luogo si trasformasse subito in meta della pietà del popolo cristiano. Molto presto si cominciò a celebrare lì la liturgia del Venerdì Santo. Fino al secolo XIV, il Papa in persona, a piedi nudi, iniziava la processione che andava dalla Basilica Lateranense fino alla Basilica della Santa Croce, per adorare il vexillum crucis, la bandiera della Croce, lo stendardo della salvezza.

Il 4 agosto 1946

Reliquie della Passione

San Josemaría andò a pregare nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme il 4 agosto 1946. Era a Roma da soli due mesi, dal 23 giugno. Dal suo arrivo nella Città Eterna, aveva lavorato intensissimamente, con il caldo dell’estate e i fastidi del diabete, alla preparazione dei documenti che doveva presentare per ottenere il Decretum Laudis: questo passo portava all’approvazione dell’Opera come istituzione di diritto pontificio dotata di un regime universale.

A San Josemaría stava molto a cuore questa approvazione, che avrebbe facilitato l’espansione apostolica dell’Opus Dei, e mise tutto il suo impegno per abbreviare i tempi.

Il 4 agosto, alle cinque meno un quarto del pomeriggio il Cardinale Prefetto del Dicasterio competente ebbe un’intervista con don Álvaro del Portillo per trattare le date di presentazione dei documenti. Fu allora che il fondatore dell’Opus Dei decise di passare quel pomeriggio di domenica pregando nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, mentre don Álvaro era con il Cardinale.

È facile indovinare come sarà stata la preghiera di san Josemaría quel pomeriggio: di petizione fiduciosa, piena di fede: e allo stesso tempo di accettazione resa della Volontà divina. Lì, davanti alle reliquie della Passione, sicuramente pensò ancora una volta che trovare la Croce di Gesù Cristo lungo il cammino, ci rassicura che stiamo seguendo i suoi passi4.

Il Decretum Laudis sarebbe stato poi concesso dalla Santa Sede più di sei mesi dopo, il 24 febbraio 1947. Anche se questo ritardo era motivo di pena per il Fondatore dell’Opus Dei, lo ricevette senza perdere la pace, come un’opportunità di abbracciare la Croce. E trasmise questo atteggiamento ai suoi figli.

Sempre in pace e con coraggio davanti alle contraddizioni, se vengono, davanti a quello che la gente chiama insuccessi. Il successo o l’insuccesso sta nella vita interiore. Il successo sta nel ricevere con pace la Croce di Gesù Cristo, nello stendere le braccia aperte, perché per Gesù come per noi la Croce è un trono, è l’esaltazione dell’amore; è il colmo dell’efficacia redentrice, per portare le anime a Dio, per portarle secondo il nostro modo laicale: con la nostra amicizia, con il nostro lavoro, con la nostra parola, con la nostra dottrina, con l’orazione e la mortificazione5.

Note

1. Eusebio di Cesarea, De vita Constantinii, 3, 16.

2. Sant’Ambrogio, De obitu Theodosii, n. 41.

3. Sant’Ambrogio, De obitu Theodosii, nn. 43-44.

4. San Josemaría Escrivá de Balaguer, Lettera 14-II-1944, n. 19.

5. San Josemaría Escrivá de Balaguer, Lettera 31-V-1954, n. 30.

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