L'azione della Santa Sede in favore della libertà religiosa

Pubblichiamo il discorso pronunciato da monsignor Dominique Mamberti, Segretario della Segreteria di Stato per i Rapporti con gli Stati, sul tema “La protezione del diritto di libertà religiosa nell'azione attuale della Santa Sede”.

ROMA, sabato, 26 gennaio 2008 (ZENIT).- Pubblichiamo il discorso pronunciato da monsignor Dominique Mamberti, Segretario della Segreteria di Stato per i Rapporti con gli Stati, sul tema “La protezione del diritto di libertà religiosa nell'azione attuale della Santa Sede”, intervenendo il 10 gennaio scorso alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma per la festa accademica della Facoltà di Diritto Canonico.

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Signor Rettore,

Signor Decano,

Eccellenze,

Cari Docenti e Studenti,

Ho accettato con piacere d’intervenire su un tema giuridico di grande rilevanza nell’odierna attività della Santa Sede, quale è la protezione del diritto di libertà religiosa. A suggello di questa considerazione, echeggiano ancora le parole pronunciate da Papa Benedetto XVI, all’inizio di questa settimana, nel suo tradizionale discorso d’inizio d’anno al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede: “Anche la libertà religiosa, esigenza inalienabile della dignità di ogni uomo e pietra angolare nell'edificio dei diritti umani, è spesso compromessa. Effettivamente, vi sono molti luoghi nei quali essa non può esercitarsi pienamente. La Santa Sede la difende e ne domanda il rispetto per tutti. Essa è preoccupata per le discriminazioni contro i Cristiani e contro i seguaci di altre religioni”1.

Sono anche lieto di soffermarmi sul tema della libertà religiosa presso la Pontificia Università della Santa Croce, in occasione della festa di S. Raimondo, patrono della Facoltà di Diritto Canonico. La vostra istituzione, infatti, deve le sue origini al carisma di S. Josemaría Escrivá de Balaguer, laureato in diritto civile e canonico, appassionato cultore e strenuo difensore dell’”avventura della libertà umana”, come egli amava dire, riferendosi, soprattutto, alla retta coscienza ed alla corretta autonomia e responsabilità dei fedeli laici, nell’attuazione della loro missione nel mondo. “Quanti di voi mi conoscono da più anni, possono essermi testimoni che ho sempre predicato il criterio della libertà personale e della corrispondente responsabilità. Ho cercato e cerco la libertà, per tutta la terra, come Diogene cercava l'uomo. L'amo ogni giorno di più, l'amo al di sopra di tutte le cose terrene: è un tesoro che non apprezzeremo mai abbastanza” 2.

Ciò premesso, debbo subito aggiungere che l’argomento che mi avete chiesto di tratteggiare è assai vasto e, in qualche modo, soggiace a quasi tutte le pratiche quotidianamente trattate dalla Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. In un certo senso, si può aggiungere che la Santa Sede se ne occupa da sempre, anche se ovviamente in modalità ed in direzioni diverse, in forza del legame strettissimo che intercorre fra la sua natura e missione e, appunto, la libertà religiosa.

1. La natura della diplomazia pontificia e della libertà religiosa

La natura religiosa della Santa Sede e la sua vocazione universale fanno sì che la sua diplomazia non determini le proprie priorità sulla base d’interessi economici o politici e che non abbia ambizioni geo-politiche. Le priorità “strategiche” della diplomazia pontificia sono, anzitutto, l’assicurazione di condizioni favorevoli all’esercizio della missione propria della Chiesa cattolica in quanto tale, ma anche alla vita di fede dei suoi membri e, quindi, al libero esercizio dei loro diritti umani e delle loro libertà fondamentali.

Nella riflessione della Chiesa – e qui penso, anzitutto, ai documenti più recenti e solenni, come la Dichiarazione Dignitatis Humanae del Concilio Vaticano II - la libertà religiosa è un diritto soggettivo insopprimibile, inalienabile ed inviolabile, con una dimensione privata ed un’altra pubblica; una individuale, un’altra collettiva ed una anche istituzionale3. Essa non è soltanto uno dei diritti umani fondamentali; ben di più, essa è preminente fra tali diritti. Preminente perché, come ricordò Papa Giovanni Paolo II, ricevendo i membri dell’Assemblea Parlamentare dell’OSCE, la sua difesa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri4; preminente perché storicamente è stato fra i primi diritti umani ad essere rivendicato; preminente, infine, perché altri fondamentali diritti sono ad esso connessi in modo singolare. Dove la libertà religiosa fiorisce, germogliano e si sviluppano anche tutti gli altri diritti; quando è in pericolo, anch’essi vacillano.

2. La libertà religiosa nella diplomazia bilaterale della Santa Sede

Nell’ambito della diplomazia bilaterale, scopo precipuo dell’attività pattizia - cioè dei concordati e, in genere, degli accordi tra Chiesa e Stato – è proprio quello di assicurare stabilità e certezza alle attività della Chiesa e di tutelare l’esercizio della libertà religiosa dei fedeli cattolici, nei 176 Paesi con i quali la Santa Sede attualmente mantiene relazioni diplomatiche. Per inciso preciso che, ad essi, vanno aggiunte le Comunità Europee ed il Sovrano Militare Ordine di Malta. Presso la Santa Sede, inoltre, la Federazione Russa e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina sono rappresentate da Missioni Speciali.

Sebbene ogni rapporto pattizio risponda a precise esigenze storico-sociali ed abbia quindi una specifica fisionomia, è accomunato a tutti gli altri da alcuni obiettivi fondamentali: assicurare la libertà di culto, di giurisdizione e di associazione della Chiesa Cattolica; stabilizzare spazi di cooperazione tra la medesima e le Autorità civili, soprattutto nel campo educativo ed in quello della carità. Questi ambiti, infatti, riferendosi ai due pilastri fondamentali dell’agire umano e dell’attività della Chiesa – la verità e l’amore - definiscono in qualche modo l’identità della Chiesa cattolica, delineando pure l’impegno religioso e sociale delle sue istituzioni e dei suoi membri.

Infine, è importante sottolineare che gli accordi in parola manifestano il riconoscimento della dimensione pubblica della religione da parte delle Autorità statali e ridondano a beneficio delle altre denominazioni religiose. In Italia, per esempio, l’Accordo concordatario del 18 febbraio 1984 è stato seguito da diversi accordi con altre confessioni religiose, a partire dalla Tavola valdese.

Oggi, però, intendo soffermarmi soprattutto sul presente. Considerato, poi, che uno degli illustri Docenti della vostra Facoltà è il Prof. José Martín de Agar, il quale ha raccolto con grande accuratezza gli Accordi stipulati dalla Santa Sede a partire dal 19505, credo di fargli cosa gradita semplificando il lavoro che lo attende per quanto riguarda il 2007! A tal fine, ricordo che, nell’anno che si è appena concluso, la Santa Sede ha firmato e ratificato un Protocollo Addizionale al Concordato con la Baviera del 29 marzo 1924, per regolare alcune questioni riguardanti l’insegnamento della teologia nelle Facoltà di teologia Cattolica delle Università statali ed in altri Centri di istruzione della Baviera.

Il 25 ottobre scorso, invece, si è proceduto allo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo di Base con la Bosnia Erzegovina, firmato a Sarajevo il 19 aprile 2006, e del relativo Protocollo addizionale, sottoscritto il 29 settembre 2006. Tale Accordo fissa il quadro giuridico dei rapporti reciproci: in particolare, regola la posizione giuridica della Chiesa Cattolica nella società civile; la libertà e l’indipendenza nella sua attività apostolica; la libertà di culto e di azione nei campi culturale, educativo, pastorale, caritativo, assistenziale e della comunicazione.

Il 17 aprile 2007, la Santa Sede ha firmato un Accordo con la Repubblica delle Filippine per la protezione del patrimonio culturale della Chiesa cattolica, soprattutto per quanto concerne la tutela delle chiese coloniali, dei musei, degli archivi, delle biblioteche e delle opere d’arte appartenenti a istituzioni ecclesiastiche, con un significativo valore storico.

Infine, nel dicembre scorso, la Santa Sede ha firmato un Accordo con la Repubblica di Albania, su vari temi economici e tributari.

Come si può vedere, detti accordi bilaterali hanno contenuto e portata diversi, tuttavia in essi sono affrontati caratteri generali o applicazioni specifiche del diritto di libertà religiosa, riconosciuto alla Chiesa cattolica nel contesto storico, sociale e giuridico dei Paesi firmatari di tali intese.

La libertà religiosa nell’attività della Santa Sede presso le Nazioni Unite

Nell’ambito delle Nazioni Unite, presso le quali la Santa Sede gode dello statuto di Osservatore, il tema della libertà religiosa è affrontato ogni anno, in modo specifico, a New York ed a Ginevra. A New York, ciò avviene in seno al Terzo Comitato dell’Assemblea Generale: la Santa Sede partecipa ai negoziati sulla risoluzione concernente tale argomento e pronuncia sempre un intervento.

Anche nella sede dell’ONU a Ginevra si discute regolarmente sulla libertà religiosa, durante le sessioni del Consiglio dei Diritti Umani. In tali circostanze, la Santa Sede è solita prendere la parola sui temi della libertà, dell’intolleranza religiosa e della diffamazione delle religioni. Inoltre, segue il tema nell’ambito dei negoziati informali sulle Risoluzioni che verranno adottate dal Consiglio.

Per quanto riguarda il sistema onusiano, è utile ricordare che, ogni anno, il Rapporteur speciale sulla libertà religiosa presenta una relazione sul rispetto di tale diritto nel mondo. Anch’essa è oggetto di speciale attenzione da parte degli Osservatori della Santa Sede, sia a New York che a Ginevra. Nel 1999, detto Rapporteur, Sig. Abdelfattah Amor, decise d’incontrare i rappresentanti delle maggiori confessioni religiose e, in tale contesto, dall’1 al 3 settembre visitò diversi Dicasteri vaticani. Anche il suo successore, la Sig.ra Asma Jahangir, nel 2006 incontrò i Rappresentanti di alcuni Dicasteri, affrontando con loro vari temi afferenti al suo mandato.

Sia nell’ambito delle Nazioni Unite che in quello dell’OSCE, come si dirà più avanti, la Santa Sede non si stanca di sottolineare che il fondamento del diritto alla libertà religiosa si trova nella pari dignità di tutte le persone umane. Di conseguenza, per promuovere tale dignità in modo integrale, si deve combattere con efficacia tanto la cosiddetta “cristianofobia”, come l’“islamofobia” e l’anti-semitismo. L’espressione “cristianofobia” è stata introdotta per la prima volta nel 2003, in una Risoluzione del Terzo Comitato della 58a Assemblea Generale dell’ONU. In tale circostanza, il termine venne associato all’“islamofobia” ed all’antisemitismo e, da allora, è comparso in vari Documenti ONU e di altri Organismi internazionali, senza tuttavia essere mai stato definito. Tutto considerato, mi pare che esso consista in un insieme di comportamenti, i quali, in generale, potrebbero essere raggruppati in 3 ambiti: l’erronea educazione, o addirittura la disinformazione sui Cristiani e sulla loro religione (specie attraverso i media);

l’intolleranza e la discriminazione subita dai cittadini cristiani, segnatamente a causa della legislazione o di provvedimenti amministrativi, rispetto a quanti professano altre religioni, oppure non ne seguono alcuna;

- la persecuzione.

Al di là della terminologia, ciò che si vuole soprattutto sottolineare è che la discriminazione e l’intolleranza verso i Cristiani, gli Ebrei, i Musulmani ed i membri delle altre religioni rappresentano problematiche di speciale rilievo, a livello umano, politico e sociale. Esse vanno affrontate con pari determinazione, se si vuole porre rimedio a ciascuna. Si tratta, inoltre, di questioni di grande attualità. Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, basterà ricordare che, nel 2007, ventuno missionari sono stati uccisi in varie parti del mondo. Come ha ricordato il Santo Padre, ne dicembre scorso: “non di rado oggi giungono notizie di missionari, sacerdoti, vescovi, religiosi, religiose e persone consacrate perseguitati, imprigionati, torturati, privati della libertà o impediti nell’esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunione con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa” 6. Si potrebbe anche ricordare che, in altre aree, i Cristiani sono sovente vittime di pregiudizi, di stereotipi e d‘intolleranze, magari di carattere culturale.

A fronte di tale situazione, ben si comprende che l’efficacia dell’azione internazionale dipenda, in buona misura, dalla sua credibilità e, pertanto, anche dal suo carattere “inclusivo”. Sarebbe infatti paradossale omettere di adottare misure concrete per garantire ai Cristiani di godere della libertà religiosa senza alcuna forma di discriminazione, oppure creare una sorta di gerarchia fra le intolleranze, proprio mentre si cerca di eliminare la discriminazione e l’intolleranza. D’altro canto, sarebbe pure sbagliato che le comunità religiose strumentalizzassero le violazioni subite dai loro membri, tacciando di discriminazione ogni legittimo rilievo mosso nei confronti delle loro attività.

Un altro tema assai delicato e di grande attualità nell’ambito del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite è il rapporto fra la libertà religiosa e quella di espressione. Al riguardo, la Santa Sede ha sottolineato come la dignità umana sia la base, nonché il punto di raccordo e di riferimento di entrambi i citati diritti. La tutela della libertà di espressione è un’acquisizione fondamentale delle democrazie pluraliste, da esercitarsi responsabilmente e senza ridicolizzare o vilipendere le convinzioni religiose. La libertà religiosa è diritto fondamentale dei singoli e delle comunità e non va disgiunta dal principio di responsabilità; essa postula il rispetto per l’integrità di tutte le convinzioni religiose e per le loro forme di esercizio, come pure per i simboli che qualificano le religioni. Il rispetto e la tutela dei fondamentali diritti di espressione e di libertà religiosa vanno pertanto garantiti mediante un accorto bilanciamento, volto a salvaguardare l’effettivo esercizio di entrambi.

Nell’ambito delle Nazioni Unite, le Delegazioni della Santa Sede cercano inoltre di focalizzare il dibattito sul valore e sulla portata della libertà religiosa in se stessa, per evitare che sia considerata esclusivamente in rapporto ad altri diritti e quasi come se fosse un ostacolo, anziché una garanzia per il loro esercizio.

Infine, la Santa Sede non manca di seguire con attenzione le iniziative promosse nell’ONU, ma anche in altre Organizzazioni internazionali, per dare impulso al dialogo interculturale ed interreligioso. Penso, per esempio, all’Alleanza delle Civiltà, ma anche al Dialogo di alto livello sulla comprensione fra le religioni e le culture e la cooperazione per la pace, svoltosi il 4-5 ottobre scorso nel quadro della 62ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Come ha ricordato Papa Benedetto XVI nel citato Discorso al Corpo Diplomatico, “per esser vero, questo dialogo deve essere chiaro, evitando relativismi e sincretismi, animato da un sincero rispetto per gli altri e da uno spirito di riconciliazione e di fraternità” 7.Il dialogo interreligioso, pertanto, potrà favorire la collaborazione su temi di comune interesse, come la dignità della persona umana e la costruzione della pace; dovrà incoraggiare il rispetto profondo per la fede dell’altro e la disponibilità a cercare, in ciò che s’incontra come estraneo, la verità che può aiutare ogni persona a progredire. D’altra parte, però, tale dialogo non può avvenire nella rinuncia alla verità, ma è possibile solo mediante il suo approfondimento. Il relativismo, infatti, non unisce. E nemmeno il puro pragmatismo. La rinuncia alla verità ed alla convinzione non innalza l’uomo e neppure lo avvicina agli altri. Inoltre, dette iniziative internazionali debbono essere consapevoli che la religione ha caratteristiche specifiche, che vanno rispettate.

4. La libertà religiosa nell’attività della Santa Sede presso l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa

Per quanto riguarda le Organizzazioni internazionali di carattere regionale, va ricordato che la Santa Sede è membro a pieno titolo di quella per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Ciò è avvenuto, in buona misura, in quanto, per merito della Santa Sede, il VII principio del cosiddetto “decalogo” dell’Atto Finale di Helsinki annovera espressamente la libertà religiosa fra i diritti umani che gli Stati firmatari si sono impegnati a rispettare, per assicurare pace e sicurezza ai propri cittadini. Nelle successive riunioni, la Santa Sede è sempre stata un punto di riferimento sull’argomento, anche perché si è presentata come portatrice di interessi religiosi generali e non soltanto confessionali cattolici.

Nello sviluppo del processo di Helsinki, in merito alla libertà religiosa ci si è mossi lungo una duplice linea. Nei primi anni, ci si è sforzati di ottenere il riconoscimento del contenuto di tale diritto e ciò è stato raggiunto, in modo soddisfacente, con il paragrafo 16 del documento conclusivo della Riunione di Vienna del 1989. Negli ultimi anni, invece, si è sottolineato, anzitutto, che il tema della libertà religiosa non può essere incorporato dentro quello della tolleranza. Se, infatti, questa fosse il supremo valore umano e civile, allora ogni convinzione autenticamente veritativa, che escluda le altre, sarebbe intolleranza. Per giunta, se ogni convinzione fosse altrettanto buona di un'altra, si finirebbe per essere tolleranti anche nei confronti di aberrazioni.

Forti di tale convinzione, si è inoltre ottenuto che, nell’ambito del cosiddetto “programma sulla tolleranza” dell’OSCE, non ci si occupi esclusivamente dei pur gravi fenomeni di anti-semitismo e di discriminazione contro i Musulmani, ma anche dei parimenti inaccettabili episodi di intolleranza contro i Cristiani. La Santa Sede è stata poi l’artefice dell’istituzione di un Rappresentante Speciale del Presidente in esercizio dell’OSCE, con il compito di monitorare e riferire circa gli episodi di razzismo e di discriminazione, con un “focus” particolare su quelli contro i Cristiani ed i membri delle altre religioni. In seguito, ci si è adoperati perché, in alcune Conferenze internazionali promosse dall’OSCE, il tema in parola fosse affrontato in modo specifico durante le sessioni di lavoro, creando così un precedente importante, a livello multilaterale.

La Santa Sede ha anche ottenuto che, nel sito web del programma dell’OSCE sulla tolleranza (https://tnd.odihr.pl), una sezione riguardi espressamente le intolleranze e le discriminazioni conto i Cristiani. L’Ufficio per i Diritti Umani e le Istituzioni Democratiche dell’OSCE, che è responsabile di tale sito, desidera ora ricevere contributi, da parte di esponenti di istituzioni universitarie e di ricerca. Sarebbe pertanto lodevole che quest’Università, nel solco della sua tradizionale attenzione e sollecitudine per le priorità della Sede Apostolica, percorresse questa strada aperta di recente dalla Segreteria di Stato, per offrire un’informazione corretta e puntuale sui fenomeni d’intolleranza contro i Cristiani nei 56 Stati partecipanti all’OSCE.

5. La libertà religiosa nell’attività della Santa Sede presso l’Unione Europea

Per restare nell’ambito internazionale regionale, desidero infine soffermami sul noto e decisivo apporto dato dalla Santa Sede, affinché il recente “Trattato di riforma” dell’Unione Europea, firmato a Lisbona nel dicembre scorso, contenesse l’attuale art. 2,30 (identico all’art. 52 della prima parte del precedente Trattato costituzionale europeo).

Al riguardo, va anzitutto notato che la disposizione si riferisce alla dimensione istituzionale della libertà religiosa, ossia alla libertà religiosa che spetta alle Chiese ed alle confessioni religiose in quanto tali. In concreto, questa libertà comporta il diritto di ciascuna di loro di organizzarsi liberamente, in conformità allo statuto che la regola.

L’articolo, in pratica, recepisce la Dichiarazione N. 11 annessa al Trattato di Amsterdam, attribuendole un valore giuridico normativo. Tale Dichiarazione afferma che l’Unione rispetta e non pregiudica lo statuto di cui le Chiese e le comunità religiose godono nelle legislazioni nazionali degli Stati membri. Questa garanzia si appoggia sul principio di sussidiarietà, caro alla dottrina sociale della Chiesa. Il contenuto della Dichiarazione N. 11 è di rilievo perché, tra l’altro, vuole salvaguardare i concordati e gli accordi bilaterali stipulati dalla Santa Sede. Inoltre, prende atto del fatto che, in Europa, la configurazione dei rapporti tra lo Stato, le Chiese e le comunità religiose è assai variegata: basti pensare alla diversità della situazione in Grecia, in Francia, in Inghilterra o in Polonia!

Infine, l’articolo impegna l’Unione Europea a mantenere un dialogo aperto, trasparente e regolare con le confessioni religiose, fondato sul riconoscimento della loro identità e del loro contributo specifico. Tale dialogo è necessario, tra l’altro, per rispettare i principi di un autentico pluralismo e per costruire una vera democrazia. Del resto, non fu Alexis de Tocqueville a sottolineare “che il dispotismo non ha bisogno della religione, la libertà e la democrazia sì?” 8 Per salvaguardare l’apertura del citato articolo al ruolo delle confessioni religiose, sarà ovviamente importante che esse continuino a presentare anche individualmente le proprie posizioni alle istituzioni comunitarie. Inoltre, bisognerà tenere in adeguata considerazione la loro diversa consistenza, analogamente a come si tiene conto delle differenze fra i Paesi dell’Unione, nel sistema di voto delle istituzioni.

In linea generale, detto articolo crea i presupposti per una collaborazione feconda fra la comunità civile e quella religiosa, che occorrerà poi concretizzare, superando certe incomprensioni o gravi pregiudizi emersi proprio in relazione al mancato riferimento alle “radici cristiane” nel Preambolo del trattato medesimo. Tale “silenzio” è stato comunque talmente “rumoroso” da suscitare un vasto dibattito e da smuovere le coscienze di numerosi cittadini. Si tratta, pertanto, di approfondire il lavoro intrapreso, in spirito costruttivo e per il bene autentico di questo continente. In particolare, l’azione della Santa Sede in Europa mira a far fronte a due gravi attacchi alla libertà religiosa: il distacco della religione dalla ragione, che relega la prima esclusivamente nel mondo dei sentimenti, e la separazione della religione dalla vita pubblica.

Per quanto riguarda il primo profilo, va ribadito con forza che non è possibile eliminare la questione della verità dalla religione: ciò, proprio per rispettare la dignità umana, sulla quale è fondata la stessa libertà religiosa. Essa, del resto, come ogni libertà non è mai fine a se stessa ma orientata alla verità e l’uomo non può rassegnarsi a restare, per ciò che è essenziale, un “cieco nato”. Se si vuole vivere in modo responsabile, non ci si può dunque sottrarre all’obbligo di cercare la verità, in particolare la verità su se stessi e, pertanto, su Dio, quale fine ultimo dell’uomo. Il diritto alla libertà religiosa, pertanto, presuppone il dovere di cercare la verità su Dio, con una volontà esente da coazioni e con una ragione immune da pregiudizi. Anche la libertà religiosa esige, allora, discernimento: sia fra le forme di religione, per identificare quelle che rispondono pienamente alla sete di verità di ogni persona, sia all’interno stesso della religione, in direzione della sua autentica identità e realizzazione. Per ogni credente e per la religione, ciò rappresenta una sfida. In particolare, per le religioni sfida a “provvedere di senso” la vita nel contesto di una società secolarizzata, e a non ridursi a semplici agenzie di solidarietà sociale.

D’altra parte, una sana laicità comporta la distinzione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato, senza che ciò renda Dio un’ipotesi privata, o escluda la religione e la comunità ecclesiale dalla vita pubblica, precisamente a motivo della dimensione sociale della fede. Fra l’altro, il criterio di uguaglianza civile non è rispettato, laddove ai credenti s’impone l’onere aggiuntivo di argomentare etsi Deus non daretur: mentre le ragioni teiste non potrebbero essere invocate pubblicamente, lo potrebbero gli argomenti razionalisti e secolari.

6. Conclusione

Concludendo le riflessioni sull’odierna attività internazionale della Santa Sede a tutela della libertà religiosa, credo sia quasi superfluo precisare che esistono anche altri aspetti, sui quali ci si potrebbe soffermare. Tuttavia, il contesto specifico e qualificato di questa Conferenza mi ha suggerito di accennare soltanto a quei profili che mi paiono più vicini e, quindi, di maggiore interesse per gli organizzatori ed i partecipanti.

In qualità di Segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati, desidero infine aggiungere un ringraziamento ed un auspicio. Nel corso dell’esposizione sono emersi nuovi e delicati profili nelle relazioni fra la Chiesa e la comunità civile, nonché nei rapporti fra la libertà religiosa e gli altri diritti umani. Per tutelare adeguatamente la libertas ecclesiae, e dunque la libertà religiosa dei fedeli cattolici, è indispensabile acquisire un’approfondita conoscenza giuridica di tali problematiche, che afferiscono non soltanto al diritto canonico, ma anche a quello ecclesiastico ed a quello civile. Sono grato alla vostra Facoltà per la preziosa collaborazione con l’Ufficio che presiedo e mi auguro che, in futuro, sarà possibile approfondirla, anche nei settori che ho appena citato.

Affido, pertanto, queste intenzioni ed il vostro anno scolastico a S. Raimondo di Peñafort. Prima ancora che insigne giurista, egli fu un esemplare uomo di Chiesa. Espletò numerosi incarichi e raggiunse risultati eccellenti in ambiti assai diversificati, grazie alla sua grande docilità all’Autorità ecclesiastica. Gli chiedo, quindi, di infondere su ciascuno di voi il suo spirito di docilità, perché trasformiate la vostra vita in un autentico capolavoro, a servizio di Dio e della Chiesa. Così santificherete il vostro lavoro quotidiano e ciò, come ben sapete, costituisce uno dei capisaldi della ricca spiritualità che il Signore ha donato alla Chiesa attraverso S. Josemaria Escrivá de Balaguer.

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1 Benedetto XVI, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 7 gennaio 2008, n.11.

2 S. Josemaría Escrivá de Balaguer, È Gesù che passa, Milano 1982, n. 184.

3 Cfr. Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis Humanae, nn. 3 e 4.

4 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Parlamentare dell’OSCE, 10 ottobre 2003, n.1.

5 Cfr. José T. Martín de Agar, Raccolta di Concordati 1950-1999, Città del Vaticano 1999, e idem, I Concordati del 2000, Città del Vaticano, 2001.

6 Benedetto XVI, Angelus, 26 Dicembre 2007.

7 Benedetto XVI, Disc. cit., n. 9.

8 Cfr. Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, I,9.