San Josemaría e il nazismo

“Mons. Escrivá mi parlò, con molta forza, contro quel regime anticristiano, con un vigore che esprimeva chiaramente il suo grande amore per la libertà”.

Conobbi Josemaría Escrivá durante la Guerra Civile spagnola. In quel periodo ero rifugiato, con mia moglie, nell’ambasciata di Cuba, e mentre eravamo lì si compì il tempo del parto di nostra figlia Guadalupe, che nacque il 3 settembre 1937 nel Sanatorio Riesgo, che oggi non esiste più, e che a quel tempo era sotto la protezione della bandiera inglese. Per le circostanze che il Paese attraversava, non la potemmo battezzare, e lo facemmo sapere a un mio caro amico, José María Albareda.

Pochi giorni dopo, José María mi disse che un suo amico sacerdote sarebbe venuto in un determinato giorno ad amministrare il battesimo alla piccola. Confidando nella protezione della bandiera inglese, invitai alla cerimonia i padrini e qualche altro amico. Il sacerdote si presentò alle cinque del pomeriggio, due ore prima del previsto, ma si trattenne così rapidamente che non gli chiedemmo neppure il nome. Soltanto dopo seppi che si trattava di Mons. Escrivá. Il suo comportamento fu una lezione di prudenza per tutti in quei difficili momenti. Io cercai di trattenerlo, ma egli mi rispose: “Molte anime hanno bisogno di me”.

In quel periodo, come poi venni a sapere, anche se aveva un documento di identità molto precario e il clima sociale e politico fosse molto pericoloso per un sacerdote, svolgeva un’intensa attività apostolica: confessava molte persone – a volte mettendo a repentaglio la vita – dava corsi di ritiro cambiando sede continuamente e aveva cura di un gruppo di religiose che pativano gli effetti della persecuzione.

Ma a quel tempo non sapevo, come ho detto, di chi si trattava. Lo seppi più tardi, in un incontro casuale in treno, sulla linea Madrid-Avila, nel mese di agosto del 1941. Viaggiavo con mia moglie e con mia figlia di quattro anni quando don Josemaría, vedendoci, ci riconobbe, entrò nel nostro scompartimento e disse: “Questa bambina l’ho battezzata io”. Ci salutammo, si presentò, e ci trattenemmo a parlare della situazione storica che stavamo attraversando. Ci trovavavmo in un momento decisivo della storia d’Europa: ricordo che io avevo un grande desiderio di giungere quanto prima a Navas del Marqués, per sapere dalla radio a che punto era l’avanzata delle truppe tedesche nel territorio russo.

Gli commentai che ero di ritorno da un viaggio in Germania e avevo potuto notare la paura dei cattolici di manifestare le loro convinzioni religiose. Questo mi aveva portato a diffidare del nazismo; tuttavia, come a molti spagnoli, mi sfuggivano gli aspetti negativi del sistema e della filosofia nazista, per l’abbaglio della propaganda di una Germania che si presentava come la forza che avrebbe finalmente annichilito il comunismo. E gli chiesi la sua opinione.

Per le ragioni che ho detto, mi sorprese profondamente, in quei momenti, la risposta recisa di quel sacerdote, che aveva informazioni sicure sulla situazione della Chiesa e dei cattolici sotto il regime di Hitler. Mons. Escrivá mi parlò, con molta forza, contro quel regime anticristiano, con un vigore che esprimeva chiaramente il suo grande amore per la libertà. Bisognava rilevare che non era facile trovare in Spagna, in quel periodo, persone che condannassero con tanta decisione il sistema nazista e che denunciassero con tanta chiarezza la sua radice anticristiana. Per questo, quella conversazione, in quel preciso momento storico, quando ancora non si conoscevano tutti i limiti del nazismo, mi rimase profondamente impressa.

Successivamente commentai al mio amico José María Albareda quell’incontro e seppi di aver conversato col fondatore dell’Opus Dei. Io non sono dell’Opus Dei, ma la mia esperienza personale mi consente di affermare che chiunque sostenga un’opinione contraria sul pensiero di Josemaría Escrivá su questo punto, non cerca altro che di offuscare inutilmente la vita santa di Josemaría Escrivá, che era un grande innamorato della libertà.

Lettera di Domingo Díaz-Ambrona, ingegnere civile e avvocato, a mons. Álvaro del Portillo, vescovo prelato dell’Opus Dei, in data 9 gennaio 1992. Pubblicata in Intervista sul fondatore dell’Opus Dei, Álvaro del Portillo, Madrid, 1993