Il Papa in Polonia per la GMG

Riportiamo il testo dei principali interventi di Papa Francesco durante il in Polonia in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN POLONIA IN OCCASIONE DELLA XXXI GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

VIDEOCOLLEGAMENTO CON I GIOVANI ITALIANI PRESENTI ALLA GMG RIUNITI AL SANTUARIO SAN GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì, 27 luglio 2016

Ragazza:

Dopo l’incidente ferroviario del 12 luglio noi abbiamo paura a prendere il treno. Io, ogni giorno, prendo il treno per andare all’università, e quel giorno non ero sul treno per un puro caso. Ogni giorno mi siedo nelle prime carrozze, e lì incontravo e salutavo Luciano, uno dei macchinisti che purtroppo ha perso la vita nell’incidente. Noi, in quei treni, ci sentiamo a casa, ma adesso abbiamo paura. Voglio chiedere: come possiamo tornare alla normalità? Come possiamo abbattere questa paura e continuare, riprendere a essere felici anche su quei treni che sono i nostri treni, la nostra seconda casa?

Papa Francesco:

La vita è piena di cicatrici

Quello che è successo a te è una ferita; alcuni, nell’incidente, sono stati feriti nel corpo, e tu sei stata ferita nel tuo animo, nel tuo cuore, e la ferita si chiama paura. E quando tu senti questo, senti la ferita di uno shock. Tu hai subito uno shock, uno shock che non ti fa stare bene, ti fa male. Ma questo shock ti dà anche l’opportunità di superare te stessa, di andare oltre. E come sempre nella vita succede, quando noi siamo stati feriti, rimangono i lividi o le cicatrici. La vita è piena di cicatrici, la vita è piena di cicatrici, piena. E con questo, sempre verrà il ricordo di Luciano, di quell’altro, di quell’altro… che adesso non c’è più perché è mancato nell’incidente. E tu dovrai, ogni giorno che prendi il treno, sentire la traccia – diciamo così – di quella ferita, di quella cicatrice, di quello che ti fa soffrire. E tu sei giovane, ma la vita è piena di questo… E la saggezza, imparare a essere un uomo saggio, una donna saggia, è proprio questo: portare avanti le cose belle e le cose brutte della vita. Ci sono delle cose che non possono andare avanti, e ci sono cose che sono bellissime. Ma anche succede il contrario: quanti giovani come voi non sono capaci di portare avanti la propria vita con la gioia delle cose belle, e preferiscono lasciarsi andare, cadere sotto il dominio della droga, o lasciarsi vincere dalla vita? Alla fine, la partita è così: o tu vinci o ti vince, la vita! Vinci tu la vita, è meglio! E questo, fallo con coraggio, anche con dolore. E quando c’è la gioia, fallo con gioia, perché la gioia ti porta avanti e ti salva da una malattia brutta: dal diventare nevrotica. Per favore no, questo no!

Ragazza:

Caro Papa Francesco, mi chiamo Andrea, ho 15 anni e vengo da Bergamo. Sono arrivata in Italia quando avevo 9 anni, quindi circa sei anni fa. Hanno incominciato, i ragazzini della mia classe, a prendermi in giro, dato che ero appena arrivata, con parole abbastanza offensive. All’inizio, non comprendendo bene l’italiano, non capivo le parole, quindi lasciavo anche stare. Poi, una volta che ho iniziato a comprenderle, ci rimasi davvero male, però non risposi: non volevo abbassarmi ai loro livelli. Così ho passato tanti anni, fino alla fine della terza media, quando hanno superato il limite con tutti i messaggi offensivi sui social, per cui praticamente mi sentivo inutile e avevo deciso di farla finita, perché secondo me in quel momento non contavo più niente e io mi sentivo emarginata da tutti, dal mio paesino. … E quindi avevo deciso di farla finita, ho provato a suicidarmi. Non ci riuscii, così andai in ospedale. E lì avevo capito che non ero io, quella malata, che non ero io quella che aveva bisogno di cure, che non meritavo io di stare lì in ospedale, chiusa. Erano loro che avevano sbagliato, loro che avevano bisogno di essere curati, non io. Così io mi tirai su e decisi di non farla finita perché non ne valeva la pena, perché io potevo essere forte. E infatti ora sto bene e sono forte davvero. E posso, da una parte, anche ringraziarmi di avere trattato così male me stessa, perché comunque ora io sono forte, un po’ anche grazie a loro, perché mi hanno messa in quella situazione. Io sono diventata forte perché ho creduto in me stessa, nei miei genitori, e comunque ho creduto di potercela fare, e infatti ce l’ho fatta. E sono qua, e sono fiera di essere qua.

Io volevo chiederLe: dato che comunque un po’ io li ho perdonati, perché non voglio odiare nessuno, un po’ li ho perdonati, però comunque un po’ ci sto ancora male… volevo chiederLe: come faccio io a perdonare queste persone? Come faccio a perdonarle per tutto quello che loro mi hanno fatto?

Papa Francesco:

Le chiacchiere sono un terrorismo

Grazie della tua testimonianza. Tu parli di un problema molto comune tra i bambini e anche tra le persone che non sono bambini: la crudeltà. Ma guarda che anche i bambini sono crudeli, alle volte, e hanno quella capacità di ferirti dove più ti faranno male: di ferirti il cuore, di ferirti la dignità, di ferirti anche la nazionalità, come è il tuo caso, no? Non capivi bene l’italiano e ti prendevano in giro con la lingua, con le parole… La crudeltà è un atteggiamento umano che è proprio alla base di tutte le guerre, di tutte. La crudeltà che non lascia crescere l’altro, la crudeltà che uccide l’altro, la crudeltà che uccide anche il buon nome di un’altra persona. Quando una persona chiacchiera contro un’altra, questo è crudele: è crudele perché distrugge la fama della persona. Ma, tu sai, a me piace dire un’espressione quando parlo di questa crudeltà della lingua: le chiacchiere sono un terrorismo; è il terrorismo delle chiacchiere. La crudeltà della lingua, o quella che tu hai sentito, è come buttare una bomba che distrugge te o distrugge chiunque, e quello che la butta non si distrugge. Questo è un terrorismo, è una cosa che noi dobbiamo vincere. Come si vince questo? Tu hai scelto la strada giusta: il silenzio, la pazienza e hai finito con quella parola tanto bella: il perdono. Ma perdonare non è facile, perché uno può dire: “Sì, io perdono ma non mi dimentico”. E tu sempre porterai con te questa crudeltà, questo terrorismo delle parole brutte, delle parole che feriscono e che cercano di buttarti fuori dalla comunità. C’è una parola in italiano che io non conoscevo. Quando sono venuto le prime volte, qui in Italia, l’ho imparato: “extracomunitari”, che si dice delle persone di altri Paesi che vengono a vivere da noi. Ma proprio questa crudeltà è quello che fa sì che tu, che sei di un altro Paese, diventi un “extra-comunitario”: ti portano via dalla comunità, non ti accolgono. Che è una cosa contro la quale dobbiamo lottare tanto. Tu sei stata coraggiosa! Sei stata molto coraggiosa in questo. Ma bisogna lottare contro questo terrorismo della lingua, contro questo terrorismo delle chiacchiere, degli insulti, del cacciare via la gente, sì, con insulti o dicendo loro cose che fanno loro male al cuore. Si può perdonare totalmente? E’ una grazia che dobbiamo chiedere al Signore. Noi, da noi stessi, noi non possiamo: facciamo lo sforzo, tu lo hai fatto; ma è una grazia che ti dà il Signore, il perdono, di perdonare il nemico, perdonare quello che ti ha ferito, quello che ti ha fatto del male. Quando Gesù nel Vangelo ci dice: “Chi ti dà uno schiaffo su una guancia, dagli l’altra”, significa questo: lasciare nelle mani del Signore questa saggezza del perdono, che è una grazia. Ma a noi spetta fare tutta la nostra parte per perdonare. Ti ringrazio della tua testimonianza. E c’è anche un altro atteggiamento che va proprio contro questo terrorismo della lingua, siano le chiacchiere, gli insulti e tutto questo: è l’atteggiamento della mitezza. Stare zitto, trattare bene gli altri, non rispondere con un’altra cosa brutta. Come Gesù: Gesù era mite di cuore. La mitezza. E noi viviamo in un mondo dove a un insulto tu rispondi con un altro, è abituale questo. Ci insultiamo l’uno con l’altro, e ci manca la mitezza. Chiedere la grazia della mitezza, la mitezza di cuore. E lì è anche una grazia che apre la strada al perdono. Ti ringrazio della tua testimonianza.

Ragazzo:

Caro Papa Francesco, noi siamo tre ragazzi e un sacerdote dei 350 veronesi che sono partiti per venire qua alla GMG ma hanno dovuto interrompere il loro viaggio a Monaco, venerdì scorso, dopo l’attentato che abbiamo vissuto tutti in prima persona, in quanto ci trovavamo lì proprio in quelle ore. Ci è stato detto di tornare a casa, siamo stati obbligati a tornare a casa, perché noi volevamo continuare il nostro viaggio ma non ci è stato permesso. Fortunatamente, una volta tornati, ci è stata data questa possibilità di tornare qua e noi l’abbiamo presa con molta gioia, con molta speranza. Dopo tutto quello che ci è successo, dopo la paura, ci siamo chiesti – e vogliamo chiederLe: come facciamo noi giovani a vivere e a diffondere la pace in questo mondo che è così pieno di odio?

Papa Francesco:

La pace costruisce ponti, l’odio è il costruttore dei muri
La pace costruisce ponti, l’odio è il costruttore dei muri

Tu hai detto due parole che sono chiave per capire tutto: pace e odio. La pace costruisce ponti, l’odio è il costruttore dei muri. Tu devi scegliere, nella vita: o faccio ponti, o faccio muri. I muri dividono e l’odio cresce: quando c’è divisione, cresce l’odio. I ponti uniscono, e quando c’è il ponte l’odio può andarsene via, perché io posso sentire l’altro, parlare con l’altro. A me piace pensare e dire che noi abbiamo, nelle nostre possibilità di tutti i giorni, la capacità di fare un ponte umano. Quando tu stringi la mano a un amico, a una persona, tu fai un ponte umano. Tu fai un ponte. Invece, quando tu colpisci un altro, insulti un altro, tu costruisci un muro. L’odio cresce sempre con i muri. Alle volte, succede che tu voglia fare il ponte e ti lasciano con la mano tesa e dall’altra parte non te la prendono: sono le umiliazioni che nella vita noi dobbiamo subire per fare qualcosa di buono. Ma sempre fare i ponti. E tu sei venuto qui: sei stato fermato e rimandato a casa; poi hai fatto una scommessa per il ponte e per tornare un’altra volta: questo è l’atteggiamento, sempre. C’è una difficoltà che mi impedisce qualcosa? Torno indietro e vado avanti, torno e vado avanti. Questo è quello che noi dobbiamo fare: fare dei ponti. Non lasciarsi cadere a terra, non andare così: “mah, non posso…”, no, sempre cercare il modo di fare ponti. Voi siete lì: con le mani, fate ponti, voi tutti! Prendete le mani… ecco. Voglio vedere tanti ponti umani… Ecco, così: alzate bene le mani. E’ così. Questo è il programma di vita: fare ponti, ponti umani. Grazie.

SALUTO DEL SANTO PADRE DALLA FINESTRA DELL'ARCIVESCOVADO DI CRACOVIA

Mercoledì, 27 luglio 2016

Vi saluto, vi saluto cordialmente!

Vi vedo con tanto entusiasmo e tanta gioia. Ma adesso dovrei dire una cosa che ci rattristerà il cuore. Facciamo silenzio. E’ una cosa che riguarda uno di voi. Maciej […] aveva poco più di 22 anni. Aveva studiato disegno grafico e aveva lasciato il suo lavoro per essere volontario della GMG. Infatti, sono suoi tutti i disegni delle bandiere, le immagini dei Santi Patroni, del kit del pellegrino, e così via, che adornano la città. Proprio in questo lavoro ha ritrovato la sua fede.

A novembre gli fu diagnosticato un cancro. I medici non hanno potuto fare niente, neppure con l’amputazione della gamba. Lui voleva arrivare vivo alla visita del Papa! Aveva un posto prenotato nel tram in cui viaggerà il Papa. Ma è morto il 2 luglio. La gente è molto toccata: ha fatto un grande bene a tutti, lui.

Adesso, tutti in silenzio, pensiamo a questo compagno di strada, che ha lavorato tanto per questa Giornata; e tutti noi, in silenzio, dal cuore preghiamo. Ognuno preghi dal proprio cuore. Lui è presente tra noi.

[preghiera silenziosa]

Qualcuno di voi può pensare: “Questo Papa ci rovina la serata”. Ma è la verità, e noi dobbiamo abituarci alle cose buone e alle cose brutte. La vita è così, cari giovani. Ma c’è una cosa della quale noi non possiamo dubitare: la fede di questo ragazzo, di questo nostro amico, che ha lavorato tanto per questa GMG, l’ha portato in Cielo, e lui è con Gesù in questo momento, che guarda tutti noi! E questa è una grazia. Un applauso al nostro compagno!

Anche noi lo troveremo un giorno: “Ah, eri tu! Piacere di conoscerti!”. E’ così. Perché la vita è così: oggi stiamo qui, domani saremo là. Il problema è scegliere la giusta strada, come lui l’ha scelta.

Ringraziamo il Signore perché ci dà questi esempi di coraggio, di giovani coraggiosi che ci aiutano ad andare avanti nella vita! E non abbiate paura, non abbiate paura! Dio è grande, Dio è buono e tutti noi abbiamo qualcosa di buono dentro.

Adesso mi congedo. Domani ci vedremo, ci rivedremo. Voi fate il vostro dovere, che è fare chiasso tutta la notte… E far vedere la vostra gioia cristiana, la gioia che il Signore vi dà di essere una comunità che segue Gesù.

E adesso vi do la benedizione. E come da bambini abbiamo imparato prima di andarcene, salutiamo la mamma. Tutti preghiamo la Madonna, ognuno nella propria lingua. Ave, o Maria…

[Benedizione]

Buona notte! Buona notte! E pregate per me.

SANTA MESSA IN OCCASIONE DEL 1050° ANNIVERSARIO DEL BATTESIMO DELLA POLONIA

Częstochowa, Giovedì, 28 luglio 2016

OMELIA DEL SANTO PADRE

Dalle Letture di questa Liturgia emerge un filo divino, che passa per la storia umana e tesse la storia della salvezza.

L’Apostolo Paolo ci parla del grande disegno di Dio: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). Tuttavia, la storia ci dice che quando giunse questa «pienezza del tempo», quando cioè Dio si fece uomo, l’umanità non era particolarmente ben disposta e nemmeno vi era un periodo di stabilità e di pace: non c’era una “età dell’oro”. La scena di questo mondo non si è dunque meritata la venuta di Dio, anzi, «i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11). La pienezza del tempo è stata allora un dono di grazia: Dio ha riempito il nostro tempo con l’abbondanza della sua misericordia, per puro amore - per puro amore! - ha inaugurato la pienezza del tempo.

Colpisce, soprattutto, come si realizza la venuta di Dio nella storia: «nato da donna». Nessun ingresso trionfale, nessuna manifestazione imponente dell’Onnipotente: Egli non si mostra come un sole abbagliante, ma entra nel mondo nel modo più semplice, come un bimbo dalla mamma, con quello stile di cui ci parla la Scrittura: come la pioggia sulla terra (cfr Is 55,10), come il più piccolo dei semi che germoglia e cresce (cfr Mc 4,31-32). Così, contrariamente a quanto ci aspetteremmo e magari vorremmo, il Regno di Dio, ora come allora, «non viene in modo da attirare l’attenzione» (Lc 17,20), ma viene nella piccolezza, nell’umiltà.

Il Vangelo odierno riprende questo filo divino che attraversa delicatamente la storia: dalla pienezza del tempo passiamo al «terzo giorno» del ministero di Gesù (cfr Gv 2,1) e all’annuncio dell’«ora» della salvezza (cfr v. 4). Il tempo si restringe, e la manifestazione di Dio avviene sempre nella piccolezza. Così avviene «l’inizio dei segni compiuti da Gesù» (v. 11) a Cana di Galilea. Non c’è un gesto eclatante compiuto davanti alla folla, nemmeno un intervento che risolve una questione politica scottante, come la sottomissione del popolo al dominio romano. Avviene invece, in un piccolo villaggio, un miracolo semplice, che rallegra lo sposalizio di una giovane famiglia, del tutto anonima. Eppure, l’acqua cambiata in vino alla festa di nozze è un grande segno, perché ci rivela il volto sponsale di Dio, di un Dio che si mette a tavola con noi, che sogna e compie la comunione con noi. Ci dice che il Signore non mantiene le distanze, ma è vicino e concreto, sta in mezzo a noi e si prende cura di noi, senza decidere al posto nostro e senza occuparsi di questioni di potere. Predilige infatti farsi contenere in ciò che è piccolo, al contrario dell’uomo, che tende a voler possedere qualcosa di sempre più grande. Essere attratti dalla potenza, dalla grandezza e dalla visibilità è tragicamente umano, ed è una grande tentazione che cerca di insinuarsi ovunque; donarsi agli altri, azzerando le distanze, dimorando nella piccolezza e abitando concretamente la quotidianità, questo è squisitamente divino.

Dio ci salva dunque facendosi piccolo, vicino e concreto. Anzitutto, Dio si fa piccolo. Il Signore, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), preferisce i piccoli, ai quali è rivelato il Regno di Dio (Mt 11,25); essi sono grandi ai suoi occhi e su di loro volge lo sguardo (cfr Is 66,2). Li predilige, perché si oppongono alla «superbia della vita», che viene dal mondo (cfr 1 Gv 2,16). I piccoli parlano la sua stessa lingua: l’amore umile che rende liberi. Perciò chiama persone semplici e disponibili a essere suoi portavoce, e a loro affida la rivelazione del suo nome e i segreti del suo Cuore. Pensiamo a tanti figli e figlie del vostro popolo: ai martiri, che hanno fatto risplendere la forza inerme del Vangelo; alle persone semplici eppure straordinarie che hanno saputo testimoniare l’amore del Signore in mezzo a grandi prove; agli annunciatori miti e forti della Misericordia, come san Giovanni Paolo II e santa Faustina. Tramite questi “canali” del suo amore, il Signore ha fatto giungere doni inestimabili a tutta la Chiesa e all’intera umanità. Ed è significativo che questo anniversario del Battesimo del vostro popolo venga a coincidere proprio con il Giubileo della Misericordia.

Inoltre, Dio è vicino, il suo Regno è vicino (cfr Mc 1,15): il Signore non desidera essere temuto come un sovrano potente e distante, non vuole restare su un trono in cielo o nei libri di storia, ma ama calarsi nelle nostre vicende di ogni giorno, per camminare con noi. Pensando al dono di un millennio abbondante di fede, è bello anzitutto ringraziare Dio, che ha camminato con il vostro popolo, prendendolo per mano, come un papà il bambino, e accompagnandolo in tante situazioni. È quello che, anche come Chiesa, siamo chiamati sempre a fare: ascoltare, coinvolgerci e farci prossimi, condividendo le gioie e le fatiche della gente, così che il Vangelo passi nel modo più coerente e che porta maggior frutto: per positiva irradiazione, attraverso la trasparenza della vita.

Infine, Dio è concreto. Dalle Letture di oggi emerge che tutto, nell’agire di Dio, è concreto: la Sapienza divina «opera come artefice» e «gioca» (cfr Prv 8,30), il Verbo si fa carne, nasce da una madre, nasce sotto la legge (cfr Gal 4,4), ha degli amici e partecipa a una festa: l’eterno si comunica trascorrendo il tempo con persone e in situazioni concrete. Anche la vostra storia, impastata di Vangelo, Croce e fedeltà alla Chiesa, ha visto il positivo contagio di una fede genuina, trasmessa di famiglia in famiglia, di padre in figlio, e soprattutto dalle mamme e dalle nonne, che bisogna tanto ringraziare. In particolare, avete potuto toccare con mano la tenerezza concreta e provvidente della Madre di tutti, che sono venuto qui a venerare come pellegrino e che abbiamo salutato nel Salmo come «onore della nostra gente» (Gdt 15,9).

Proprio a lei noi, qui riuniti, guardiamo. In Maria troviamo la piena corrispondenza al Signore: al filo divino si intreccia così nella storia un “filo mariano”. Se c’è qualche gloria umana, qualche nostro merito nella pienezza del tempo, è lei: è lei quello spazio, preservato libero dal male, in cui Dio si è rispecchiato; è lei la scala che Dio ha percorso per scendere fino a noi e farsi vicino e concreto; è lei il segno più chiaro della pienezza dei tempi.

Nella vita di Maria ammiriamo questa piccolezza amata da Dio, che «ha guardato l’umiltà della sua serva» e «ha innalzato gli umili» (Lc 1,48.52). Egli tanto se ne è compiaciuto, che da lei si è lasciato tessere la carne, così che la Vergine è diventata Genitrice di Dio, come proclama un antichissimo inno, che da secoli voi cantate. A voi, che ininterrottamente vi recate da lei, accorrendo in questa capitale spirituale del Paese, ella continui a indicare la via, e vi aiuti a tessere, nella vita, la trama umile e semplice del Vangelo.

A Cana come qui a Jasna Góra, Maria ci offre la sua vicinanza, e ci aiuta a scoprire ciò che manca alla pienezza della vita. Ora come allora, lo fa con premura di Madre, con la presenza e il buon consiglio, insegnandoci a evitare decisionismi e mormorazioni nelle nostre comunità. Quale Madre di famiglia, ci vuole custodire insieme, tutti insieme. Il cammino del vostro popolo ha superato, nell’unità, tanti momenti duri; la Madre, forte ai piedi della croce e perseverante nella preghiera con i discepoli in attesa dello Spirito Santo, infonda il desiderio di andare oltre i torti e le ferite del passato, e di creare comunione con tutti, senza mai cedere alla tentazione di isolarsi e di imporsi.

La Madonna, a Cana, ha mostrato tanta concretezza: è una Madre che si prende a cuore i problemi e interviene, che sa cogliere i momenti difficili e provvedervi con discrezione, efficacia e determinazione. Non è padrona né protagonista, ma Madre e serva. Chiediamo la grazia di fare nostra la sua sensibilità, la sua fantasia nel servire chi è nel bisogno, la bellezza di spendere la vita per gli altri, senza preferenze e distinzioni. Ella, causa della nostra gioia, che porta la pace in mezzo all’abbondanza del peccato e ai subbugli della storia, ci ottenga la sovrabbondanza dello Spirito, per essere servi buoni e fedeli.

Per sua intercessione la pienezza del tempo si rinnovi anche per noi. A poco serve il passaggio tra il prima e il dopo Cristo, se rimane una data negli annali di storia. Che possa compiersi, per tutti e per ciascuno, un passaggio interiore, una Pasqua del cuore verso lo stile divino incarnato da Maria: operare nella piccolezza e accompagnare da vicino, con cuore semplice e aperto.

CERIMONIA DI ACCOGLIENZA DEI GIOVANI

Parco Jordan a Błonia, Cracovia, Giovedì, 28 luglio 2016

Cari giovani, buon pomeriggio!

Finalmente ci incontriamo! Grazie per questa calorosa accoglienza! Ringrazio il Cardinale Dziwisz, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi e laici e tutti coloro che vi accompagnano. Grazie a loro che hanno reso possibile la nostra presenza qui oggi, che si sono “messi in gioco” perché potessimo celebrare la fede. Oggi noi, tutti insieme, stiamo celebrando la fede!

In questa sua terra natale, vorrei ringraziare specialmente san Giovanni Paolo II [grande applauso]- forte! forte! - che ha sognato e ha dato impulso a questi incontri. Dal cielo egli ci accompagna nel vedere tanti giovani appartenenti a popoli, culture, lingue così diverse con un solo motivo: celebrare Gesù che è vivo in mezzo a noi. Avete capito? Celebrare Gesù che è vivo in mezzo a noi! E dire che è Vivo, è voler rinnovare il nostro desiderio di seguirlo, il nostro desiderio di vivere con passione la sequela di Gesù. Quale occasione migliore per rinnovare l’amicizia con Gesù che rafforzare l’amicizia tra voi! Quale modo migliore per rafforzare la nostra amicizia con Gesù che condividerla con gli altri! Quale modo migliore per sperimentare la gioia del Vangelo che voler “contagiare” la Buona Notizia in tante situazioni dolorose e difficili!

E Gesù è Colui che ci ha convocati a questa trentunesima Giornata Mondiale della Gioventù; è Gesù che ci dice: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). Beati sono coloro che sanno perdonare, che sanno avere un cuore compassionevole, che sanno dare il meglio agli altri; il meglio, non quello che avanza: il meglio!

Cari giovani, in questi giorni la Polonia, questa nobile terra, si veste a festa; in questi giorni la Polonia vuole essere il volto sempre giovane della Misericordia. Da questa terra con voi e anche uniti a tanti giovani che oggi non possono essere qui, ma che ci accompagnano attraverso i vari mezzi di comunicazione, tutti insieme faremo di questa giornata una vera festa giubilare, in questo Giubileo della Misericordia.

Quando Gesù tocca il cuore di un giovane, di una giovane, questi sono capaci di azioni veramente grandiose

Nei miei anni vissuti da Vescovo ho imparato una cosa – ne ho imparate tante, ma una voglio dirla adesso -: non c’è niente di più bello che contemplare i desideri, l’impegno, la passione e l’energia con cui tanti giovani vivono la vita. Questo è bello! E da dove viene questa bellezza? Quando Gesù tocca il cuore di un giovane, di una giovane, questi sono capaci di azioni veramente grandiose. È stimolante, sentirli condividere i loro sogni, le loro domande e il loro desiderio di opporsi a tutti coloro che dicono che le cose non possono cambiare. Quelli che io chiamo i “quietisti”: “Nulla si può cambiare”. No, i giovani hanno la forza di opporsi a questi! Ma… alcuni forse non sono sicuri di questo… Io vi domando, voi rispondete: le cose si possono cambiare? [Sì!] Non si sente! [Sì!] Ecco. E’ un dono del cielo poter vedere molti di voi che, con i vostri interrogativi, cercate di fare in modo che le cose siano diverse. E’ bello, e mi conforta il cuore, vedervi così esuberanti. La Chiesa oggi vi guarda – direi di più: il mondo oggi vi guarda – e vuole imparare da voi, per rinnovare la sua fiducia nella Misericordia del Padre che ha il volto sempre giovane e non smette di invitarci a far parte del suo Regno, che è un Regno di gioia, è un Regno sempre di felicità, è un Regno che sempre ci porta avanti, è un Regno capace di darci la forza di cambiare le cose. Io ho dimenticato, e vi faccio la domanda un’altra volta: le cose si possono cambiare? [Sì!] D’accordo.

Conoscendo la passione che voi mettete nella missione, oso ripetere: la misericordia ha sempre il volto giovane. Perché un cuore misericordioso ha il coraggio di lasciare le comodità; un cuore misericordioso sa andare incontro agli altri, riesce ad abbracciare tutti. Un cuore misericordioso sa essere un rifugio per chi non ha mai avuto una casa o l’ha perduta, sa creare un ambiente di casa e di famiglia per chi ha dovuto emigrare, è capace di tenerezza e di compassione. Un cuore misericordioso sa condividere il pane con chi ha fame, un cuore misericordioso si apre per ricevere il profugo e il migrante. Dire misericordia insieme a voi, è dire opportunità, è dire domani, è dire impegno, è dire fiducia, è dire apertura, ospitalità, compassione, è dire sogni. Ma voi siete capaci di sognare? [Sì!] E quando il cuore è aperto e capace di sognare c’è posto per la misericordia, c’è posto per carezzare quelli che soffrono, c’è posto per mettersi accanto a quelli che non hanno pace nel cuore o mancano del necessario per vivere, o mancano della cosa più bella: la fede. Misericordia. Diciamo insieme questa parola: misericordia. Tutti! [Misericordia!] Un’altra volta! [Misericordia!] Un’altra volta, perché il mondo senta! [Misericordia!].

Mi addolora incontrare giovani che sembrano “pensionati” prima del tempo

Voglio anche confessarvi un’altra cosa che ho imparato in questi anni. Non voglio offendere nessuno, ma mi addolora incontrare giovani che sembrano “pensionati” prima del tempo. Questo mi addolora. Giovani che sembra che siano andati in pensione a 23, 24, 25 anni. Questo mi addolora. Mi preoccupa vedere giovani che hanno “gettato la spugna” prima di iniziare la partita. Che si sono “arresi” senza aver cominciato a giocare. Mi addolora vedere giovani che camminano con la faccia triste, come se la loro vita non avesse valore. Sono giovani essenzialmente annoiati... e noiosi, che annoiano gli altri, e questo mi addolora. E’ difficile, e nello stesso tempo ci interpella, vedere giovani che lasciano la vita alla ricerca della “vertigine”, o di quella sensazione di sentirsi vivi per vie oscure che poi finiscono per "pagare"... e pagare caro. Pensate a tanti giovani che voi conoscete, che hanno scelto questa strada. Fa pensare quando vedi giovani che perdono gli anni belli della loro vita e le loro energie correndo dietro a venditori di false illusioni – ce ne sono! - (nella mia terra natale diremmo “venditori di fumo”) che vi rubano il meglio di voi stessi. E questo mi addolora. Io sono sicuro che oggi fra voi non c’è nessuno di questi, ma voglio dirvi: ce ne sono di giovani pensionati, giovani che gettano la spugna prima della partita, ci sono giovani che entrano nella vertigine con le false illusioni e finiscono nel niente.

Per questo, cari amici, ci siamo riuniti per aiutarci a vicenda, perché non vogliamo lasciarci rubare il meglio di noi stessi, non vogliamo permettere che ci rubino le energie, che ci rubino la gioia, che ci rubino i sogni con false illusioni.

Cari amici, vi chiedo: volete per la vostra vita quella “vertigine” alienante o volete sentire la forza che vi faccia sentire vivi e pieni? Vertigine alienante o forza della grazia? Cosa volete: vertigine alienante o forza di pienezza? Cosa volete? [Forza di pienezza!] Non si sente bene! [Forza di pienezza!] Per essere pieni, per avere una vita rinnovata, c’è una risposta, c’è una risposta che non si vende, c’è una risposta che non si compra, una risposta che non è una cosa, che non è un oggetto, è una persona, si chiama Gesù Cristo. Vi domando: Gesù Cristo si può comprare? [No!] Gesù Cristo si vende nei negozi? [No!] Gesù Cristo è un dono, è un regalo del Padre, il dono del nostro Padre. Chi è Gesù Cristo? Tutti! Gesù Cristo è un dono! Tutti! [E’ un dono!]. E’ il regalo del Padre.

Gesù Cristo è colui che sa dare vera passione alla vita, Gesù Cristo è colui che ci porta a non accontentarci di poco e ci porta a dare il meglio di noi stessi; è Gesù Cristo che ci interpella, ci invita e ci aiuta ad alzarci ogni volta che ci diamo per vinti. È Gesù Cristo che ci spinge ad alzare lo sguardo e sognare alto. “Ma padre – qualcuno può dirmi – è tanto difficile sognare alto, è tanto difficile salire, essere sempre in salita. Padre, io sono debole, io cado, io mi sforzo ma tante volte vengo giù”. Gli alpini, quando salgono le montagne, cantano una canzone molto bella, che dice così: “Nell’arte di salire, quello che importa non è non cadere, ma non rimanere caduto”. Se tu sei debole, se tu cadi, guarda un po’ in alto e c’è la mano tesa di Gesù che ti dice: “Alzati, vieni con me”. “E se lo faccio un’altra volta?” Anche. “E se lo faccio un’altra volta?” Anche. Ma Pietro una volta ha domandato al Signore: “Signore, quante volte?” – “Settanta volte sette”. La mano di Gesù è sempre tesa per rialzarci, quando noi cadiamo. Avete capito? [Si!]

Nel Vangelo abbiamo ascoltato che Gesù, mentre sta andando a Gerusalemme, si ferma in una casa – quella di Marta, Maria e Lazzaro – che lo accoglie. Di passaggio, entra nella loro casa per stare con loro; le due donne accolgono colui che sanno è capace di commuoversi. Le molte occupazioni ci fanno essere come Marta: attivi, distratti, sempre di corsa di qua e di là... ma spesso siamo anche come Maria: davanti a un bel paesaggio, o un video che ci manda un amico nel cellulare, ci fermiamo a riflettere, in ascolto. In questi giorni della GMG, Gesù vuole entrare nella nostra casa: nella tua casa, nella mia casa, nel cuore di ognuno di noi; Gesù vedrà le nostre preoccupazioni, il nostro andare di corsa, come ha fatto con Marta... e aspetterà che lo ascoltiamo come Maria: che, in mezzo a tutte le faccende, abbiamo il coraggio di affidarci a Lui. Che siano giorni per Gesù, dedicati ad ascoltarci, a riceverlo in quelli con cui condivido la casa, la strada, il gruppo, la scuola.

Signore, lanciaci nell’avventura della misericordia!

E chi accoglie Gesù, impara ad amare come Gesù. Allora Lui ci chiede se vogliamo una vita piena. E io nel nome di Lui vi chiedo: vuoi, volete voi una vita piena? Comincia da questo momento a lasciarti commuovere! Perché la felicità germoglia e sboccia nella misericordia: questa è la sua risposta, questo è il suo invito, la sua sfida, la sua avventura: la misericordia. La misericordia ha sempre un volto giovane; come quello di Maria di Betania, seduta ai piedi di Gesù come discepola, che ama ascoltarlo perché sa che lì c’è la pace. Come il volto di Maria di Nazareth, lanciata con il suo “sì” nell’avventura della misericordia, e che sarà chiamata beata per tutte le generazioni, chiamata da tutti noi “la Madre della Misericordia”. Invochiamola insieme tutti: Maria Madre della Misericordia. Tutti: Maria Madre della Misericordia.

Allora tutti insieme, chiediamo al Signore – ognuno ripeta nel suo cuore in silenzio -: Signore, lanciaci nell’avventura della misericordia! Lanciaci nell’avventura di costruire ponti e abbattere muri (siano recinti o reti); lanciaci nell’avventura di soccorrere il povero, chi si sente solo e abbandonato, chi non trova più un senso per la sua vita. Lanciaci ad accompagnare coloro che non ti conoscono e dire loro lentamente e con tanto rispetto il tuo Nome, il perché della mia fede. Spingici, come Maria di Betania, all’ascolto di coloro che non comprendiamo, di quelli che vengono da altre culture, altri popoli, anche di quelli che temiamo perché crediamo che possono farci del male. Fa’ che volgiamo il nostro sguardo, come Maria di Nazareth con Elisabetta, che volgiamo i nostri sguardi ai nostri anziani, ai nostri nonni, per imparare dalla loro saggezza. Io vi domando: voi parlate con i vostri nonni? [Sì!] Così, così! Cercate i vostri nonni, loro hanno la saggezza della vita e vi diranno cose che commuoveranno il vostro cuore.

Eccoci, Signore! Mandaci a condividere il tuo Amore Misericordioso. Vogliamo accoglierti in questa Giornata Mondiale della Gioventù, vogliamo affermare che la vita è piena quando la si vive a partire dalla misericordia, e che questa è la parte migliore, è la parte più dolce, è la parte che mai ci sarà tolta. Amen.

VIA CRUCIS CON I GIOVANI

Parco Jordan a Błonia, Cracovia, Venerdì, 29 luglio 2016

«Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,

ho avuto sete e mi avete dato da bere,

ero straniero e mi avete accolto,

nudo e mi avete vestito,

malato e mi avete visitato,

ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36).

Queste parole di Gesù vengono incontro all’interrogativo che più volte risuona nella nostra mente e nel nostro cuore: “Dov’è Dio?”. Dov’è Dio, se nel mondo c’è il male, se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati? Dov’è Dio, quando persone innocenti muoiono a causa della violenza, del terrorismo, delle guerre? Dov’è Dio, quando malattie spietate rompono legami di vita e di affetto? O quando i bambini vengono sfruttati, umiliati, e anch’essi soffrono a causa di gravi patologie? Dov’è Dio, di fronte all’inquietudine dei dubbiosi e degli afflitti nell’anima? Esistono domande per le quali non ci sono risposte umane. Possiamo solo guardare a Gesù, e domandare a Lui. E la risposta di Gesù è questa: “Dio è in loro”, Gesù è in loro, soffre in loro, profondamente identificato con ciascuno. Egli è così unito ad essi, quasi da formare “un solo corpo”.

Gesù stesso ha scelto di identificarsi in questi nostri fratelli e sorelle provati dal dolore e dalle angosce, accettando di percorrere la via dolorosa verso il calvario. Egli, morendo in croce, si consegna nelle mani del Padre e porta su di sé e in sé, con amore che si dona, le piaghe fisiche, morali e spirituali dell’umanità intera. Abbracciando il legno della croce, Gesù abbraccia la nudità e la fame, la sete e la solitudine, il dolore e la morte degli uomini e delle donne di tutti i tempi. Questa sera Gesù, e noi insieme a Lui, abbraccia con speciale amore i nostri fratelli siriani, fuggiti dalla guerra. Li salutiamo e li accogliamo con affetto fraterno e con simpatia.

Ripercorrendo la Via Crucis di Gesù, abbiamo riscoperto l’importanza di conformarci a Lui, mediante le 14 opere di misericordia. Esse ci aiutano ad aprirci alla misericordia di Dio, a chiedere la grazia di capire che senza misericordia la persona non può fare niente, senza la misericordia io, tu, noi tutti non possiamo fare niente. Guardiamo anzitutto alle sette opere di misericordia corporale: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire chi è nudo, dare alloggio ai pellegrini, visitare gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. Gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente diamo. Siamo chiamati a servire Gesù crocifisso in ogni persona emarginata, a toccare la sua carne benedetta in chi è escluso, ha fame, ha sete, è nudo, carcerato, ammalato, disoccupato, perseguitato, profugo, migrante. Lì troviamo il nostro Dio, lì tocchiamo il Signore. Ce l’ha detto Gesù stesso, spiegando quale sarà il “protocollo” in base al quale saremo giudicati: ogni volta che avremo fatto questo al più piccolo dei nostri fratelli, l’avremo fatto a Lui (cfr Mt 25,31-46).

Alle opere di misericordia corporale seguono quelle di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Nell’accoglienza dell’emarginato che è ferito nel corpo, e nell’accoglienza del peccatore che è ferito nell’anima, si gioca la nostra credibilità come cristiani. Nell’accoglienza dell’emarginato che è ferito nel corpo, e nell’accoglienza del peccatore che è ferito nell’anima, si gioca la nostra credibilità come cristiani. Non nelle idee, lì!

Oggi l’umanità ha bisogno di uomini e di donne, e in modo particolare di giovani come voi, che non vogliono vivere la propria vita “a metà”, giovani pronti a spendere la vita nel servizio gratuito ai fratelli più poveri e più deboli, a imitazione di Cristo, che ha donato tutto sé stesso per la nostra salvezza. Di fronte al male, alla sofferenza, al peccato, l’unica risposta possibile per il discepolo di Gesù è il dono di sé, anche della vita, a imitazione di Cristo; è l’atteggiamento del servizio. Se uno – che si dice cristiano – non vive per servire, non serve per vivere. Con la sua vita rinnega Gesù Cristo.

Questa sera, cari giovani, il Signore vi rinnova l’invito a diventare protagonisti nel servizio; vuole fare di voi una risposta concreta ai bisogni e alle sofferenze dell’umanità; vuole che siate un segno del suo amore misericordioso per il nostro tempo! Per compiere questa missione, Egli vi indica la via dell’impegno personale e del sacrificio di voi stessi: è la Via della croce. La Via della croce è la via della felicità di seguire Cristo fino in fondo, nelle circostanze spesso drammatiche del vivere quotidiano; è la via che non teme insuccessi, emarginazioni o solitudini, perché riempie il cuore dell’uomo della pienezza di Gesù. La Via della croce è la via della vita e dello stile di Dio, che Gesù fa percorrere anche attraverso i sentieri di una società a volte divisa, ingiusta e corrotta.

La Via della croce non è una abitudine sadomasochistica; la Via della croce è l’unica che sconfigge il peccato, il male e la morte, perché sfocia nella luce radiosa della risurrezione di Cristo, aprendo gli orizzonti della vita nuova e piena. È la Via della speranza e del futuro. Chi la percorre con generosità e con fede, dona speranza al futuro e all’umanità. Chi la percorre con generosità e con fede semina speranza. E io vorrei che voi foste seminatori di speranza.

Cari giovani, in quel Venerdì Santo molti discepoli ritornarono tristi alle loro case, altri preferirono andare alla casa di campagna per dimenticare un po’ la croce. Vi domando - ma rispondete ognuno di voi in silenzio, nel vostro cuore, nel proprio cuore - : come volete tornare questa sera alle vostre case, ai vostri luoghi di alloggio, alle vostre tende? Come volete tornare questa sera a incontrarvi con voi stessi? Il mondo ci guarda. A ciascuno di voi spetta rispondere alla sfida di questa domanda.

SANTA MESSA CON SACERDOTI, RELIGIOSE, RELIGIOSI, CONSACRATI E SEMINARISTI POLACCHI

Santuario di S. Giovanni Paolo II - Cracovia, Sabato, 30 luglio 2016

Omelia del Santo Padre

VEGLIA DI PREGHIERA CON I GIOVANI

Campus Misericordiae, Cracovia, Sabato, 30 luglio 2016

Cari giovani, buona sera!

E’ bello essere qui con voi in questa Veglia di preghiera.

Alla fine della sua coraggiosa e commovente testimonianza, Rand ci ha chiesto qualcosa. Ci ha detto: “Vi chiedo sinceramente di pregare per il mio amato Paese”. Una storia segnata dalla guerra, dal dolore, dalla perdita, che termina con una richiesta: quella della preghiera. Che cosa c’è di meglio che iniziare la nostra veglia pregando?

Veniamo da diverse parti del mondo, da continenti, Paesi, lingue, culture, popoli differenti. Siamo “figli” di nazioni che forse stanno discutendo per vari conflitti, o addirittura sono in guerra. Altri veniamo da Paesi che possono essere in “pace”, che non hanno conflitti bellici, dove molte delle cose dolorose che succedono nel mondo fanno solo parte delle notizie e della stampa. Ma siamo consapevoli di una realtà: per noi, oggi e qui, provenienti da diverse parti del mondo, il dolore, la guerra che vivono tanti giovani, non sono più una cosa anonima, per noi non sono più una notizia della stampa, hanno un nome, un volto, una storia, una vicinanza. Oggi la guerra in Siria è il dolore e la sofferenza di tante persone, di tanti giovani come la coraggiosa Rand, che sta qui in mezzo a noi e ci chiede di pregare per il suo amato Paese.

Ci sono situazioni che possono risultarci lontane fino a quando, in qualche modo, le tocchiamo. Ci sono realtà che non comprendiamo perché le vediamo solo attraverso uno schermo (del cellulare o del computer). Ma quando prendiamo contatto con la vita, con quelle vite concrete non più mediatizzate dagli schermi, allora ci succede qualcosa di forte: tutti sentiamo l’invito a coinvolgerci: “Basta città dimenticate”, come dice Rand; mai più deve succedere che dei fratelli siano “circondati da morte e da uccisioni” sentendo che nessuno li aiuterà. Cari amici, vi invito a pregare insieme a motivo della sofferenza di tante vittime della guerra, di questa guerra che c’è oggi nel mondo, affinché una volta per tutte possiamo capire che niente giustifica il sangue di un fratello, che niente è più prezioso della persona che abbiamo accanto. E in questa richiesta di preghiera voglio ringraziare anche voi, Natalia e Miguel, perché anche voi avete condiviso con noi le vostre battaglie, le vostre guerre interiori. Ci avete presentato le vostre lotte, e come avete fatto per superarle. Voi siete segno vivo di quello che la misericordia vuole fare in noi.

Noi adesso non ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non vogliamo distruggere, non vogliamo insultare. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia. Festeggiamo il fatto che veniamo da culture diverse e ci uniamo per pregare. La nostra migliore parola, il nostro miglior discorso sia unirci in preghiera. Facciamo un momento di silenzio e preghiamo; mettiamo davanti a Dio le testimonianze di questi amici, identifichiamoci con quelli per i quali “la famiglia è un concetto inesistente, la casa solo un posto dove dormire e mangiare”, o con quelli che vivono nella paura di credere che i loro errori e peccati li abbiano tagliati fuori definitivamente. Mettiamo alla presenza del nostro Dio anche le vostre “guerre”, le nostre “guerre”, le lotte che ciascuno porta con sé, nel proprio cuore. E per questo, per essere in famiglia, in fratellanza, tutti insieme, vi invito ad alzarvi, a prendervi per mano e a pregare in silenzio. Tutti.

(SILENZIO)

Mentre pregavamo mi veniva in mente l’immagine degli Apostoli nel giorno di Pentecoste. Una scena che ci può aiutare a comprendere tutto ciò che Dio sogna di realizzare nella nostra vita, in noi e con noi. Quel giorno i discepoli stavano chiusi dentro per la paura. Si sentivano minacciati da un ambiente che li perseguitava, che li costringeva a stare in una piccola abitazione obbligandoli a rimanere fermi e paralizzati. Il timore si era impadronito di loro. In quel contesto, accadde qualcosa di spettacolare, qualcosa di grandioso. Venne lo Spirito Santo e delle lingue come di fuoco si posarono su ciascuno di essi, spingendoli a un’avventura che mai avrebbero sognato. La cosa cambia completamente!

Abbiamo ascoltato tre testimonianze; abbiamo toccato, con i nostri cuori, le loro storie, le loro vite. Abbiamo visto come loro, al pari dei discepoli, hanno vissuto momenti simili, hanno passato momenti in cui sono stati pieni di paura, in cui sembrava che tutto crollasse. La paura e l’angoscia che nascono dal sapere che uscendo di casa uno può non rivedere più i suoi cari, la paura di non sentirsi apprezzato e amato, la paura di non avere altre opportunità. Loro hanno condiviso con noi la stessa esperienza che fecero i discepoli, hanno sperimentato la paura che porta in un unico posto. Dove ci porta, la paura? Alla chiusura. E quando la paura si rintana nella chiusura, va sempre in compagnia di sua “sorella gemella”, la paralisi; sentirci paralizzati. Sentire che in questo mondo, nelle nostre città, nelle nostre comunità, non c’è più spazio per crescere, per sognare, per creare, per guardare orizzonti, in definitiva per vivere, è uno dei mali peggiori che ci possono capitare nella vita, e specialmente nella giovinezza. La paralisi ci fa perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri. Ci allontana dagli altri, ci impedisce di stringere la mano, come abbiamo visto [nella coreografia], tutti chiusi in quelle piccole stanzette di vetro.

Ma nella vita c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa e spesso difficile da identificare, e che ci costa molto riconoscere. Mi piace chiamarla la paralisi che nasce quando si confonde la FELICITÀ con un DIVANO / KANAPA! Sì, credere che per essere felici abbiamo bisogno di un buon divano. Un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben sicuri. Un divano, come quelli che ci sono adesso, moderni, con massaggi per dormire inclusi, che ci garantiscano ore di tranquillità per trasferirci nel mondo dei videogiochi e passare ore di fronte al computer. Un divano contro ogni tipo di dolore e timore. Un divano che ci faccia stare chiusi in casa senza affaticarci né preoccuparci. La “divano-felicità” / “kanapa-szczęście” è probabilmente la paralisi silenziosa che ci può rovinare di più, che può rovinare di più la gioventù. “E perché succede questo, Padre?”. Perché a poco a poco, senza rendercene conto, ci troviamo addormentati, ci troviamo imbambolati e intontiti. L’altro ieri, parlavo dei giovani che vanno in pensione a 20 anni; oggi parlo dei giovani addormentati, imbambolati, intontiti, mentre altri – forse i più vivi, ma non i più buoni – decidono il futuro per noi. Sicuramente, per molti è più facile e vantaggioso avere dei giovani imbambolati e intontiti che confondono la felicità con un divano; per molti questo risulta più conveniente che avere giovani svegli, desiderosi di rispondere, di rispondere al sogno di Dio e a tutte le aspirazioni del cuore. Voi, vi domando, domando a voi: volete essere giovani addormentati, imbambolati, intontiti? [No!] Volete che altri decidano il futuro per voi? [No!] Volete essere liberi? [Sì!] Volete essere svegli? [Sì!] Volete lottare per il vostro futuro? [Sì!] Non siete troppo convinti… Volete lottare per il vostro futuro? [Sì!]

Ma la verità è un’altra: cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta. E’ molto triste passare nella vita senza lasciare un’impronta. Ma quando scegliamo la comodità, confondendo felicità con consumare, allora il prezzo che paghiamo è molto ma molto caro: perdiamo la libertà. Non siamo liberi di lasciare un’impronta. Perdiamo la libertà. Questo è il prezzo. E c’è tanta gente che vuole che i giovani non siano liberi; c’è tanta gente che non vi vuole bene, che vi vuole intontiti, imbambolati, addormentati, ma mai liberi. No, questo no! Dobbiamo difendere la nostra libertà!

Proprio qui c’è una grande paralisi, quando cominciamo a pensare che felicità è sinonimo di comodità, che essere felice è camminare nella vita addormentato o narcotizzato, che l’unico modo di essere felice è stare come intontito. E’ certo che la droga fa male, ma ci sono molte altre droghe socialmente accettate che finiscono per renderci molto o comunque più schiavi. Le une e le altre ci spogliano del nostro bene più grande: la libertà. Ci spogliano della libertà.

Gesù è il Signore del rischio, è il Signore del sempre “oltre”. Gesù non è il Signore del confort, della sicurezza e della comodità

Amici, Gesù è il Signore del rischio, è il Signore del sempre “oltre”. Gesù non è il Signore del confort, della sicurezza e della comodità. Per seguire Gesù, bisogna avere una dose di coraggio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate, su strade che possono aprire nuovi orizzonti, capaci di contagiare gioia, quella gioia che nasce dall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni atteggiamento di misericordia. Andare per le strade seguendo la “pazzia” del nostro Dio che ci insegna a incontrarlo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nel malato, nell’amico che è finito male, nel detenuto, nel profugo e nel migrante, nel vicino che è solo. Andare per le strade del nostro Dio che ci invita ad essere attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che ci stimola a pensare un’economia più solidale di questa. In tutti gli ambiti in cui vi trovate, l’amore di Dio ci invita a portare la Buona Notizia, facendo della propria vita un dono a Lui e agli altri. E questo significa essere coraggiosi, questo significa essere liberi!

Potrete dirmi: Padre, ma questo non è per tutti, è solo per alcuni eletti! Sì, è vero, e questi eletti sono tutti quelli che sono disposti a condividere la loro vita con gli altri. Allo stesso modo in cui lo Spirito Santo trasformò il cuore dei discepoli nel giorno di Pentecoste – erano paralizzati – lo ha fatto anche con i nostri amici che hanno condiviso le loro testimonianze. Uso le tue parole, Miguel: tu ci dicevi che il giorno in cui nella “Facenda” ti hanno affidato la responsabilità di aiutare per il migliore funzionamento della casa, allora hai cominciato a capire che Dio chiedeva qualcosa da te. Così è cominciata la trasformazione.

Questo è il segreto, cari amici, che tutti siamo chiamati a sperimentare. Dio aspetta qualcosa da te. Avete capito? Dio aspetta qualcosa da te, Dio vuole qualcosa da te, Dio aspetta te. Dio viene a rompere le nostre chiusure, viene ad aprire le porte delle nostre vite, delle nostre visioni, dei nostri sguardi. Dio viene ad aprire tutto ciò che ti chiude. Ti sta invitando a sognare, vuole farti vedere che il mondo con te può essere diverso. E’ così: se tu non ci metti il meglio di te, il mondo non sarà diverso. E’ una sfida.

Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani-divano / młodzi kanapowi, ma di giovani con le scarpe, meglio ancora, con gli scarponcini calzati. Questo tempo accetta solo giocatori titolari in campo, non c’è posto per riserve. Il mondo di oggi vi chiede di essere protagonisti della storia perché la vita è bella sempre che vogliamo viverla, sempre che vogliamo lasciare un’impronta. La storia oggi ci chiede di difendere la nostra dignità e non lasciare che siano altri a decidere il nostro futuro. No! Noi dobbiamo decidere il nostro futuro, voi il vostro futuro! Il Signore, come a Pentecoste, vuole realizzare uno dei più grandi miracoli che possiamo sperimentare: far sì che le tue mani, le mie mani, le nostre mani si trasformino in segni di riconciliazione, di comunione, di creazione. Egli vuole le tue mani per continuare a costruire il mondo di oggi. Vuole costruirlo con te. E tu, cosa rispondi? Cosa rispondi, tu? Sì o no? [Sì!]

Nel momento in cui ci chiama, Gesù sta guardando tutto quello che potremmo fare, tutto l’amore che siamo capaci di contagiare

Mi dirai: Padre, ma io sono molto limitato, sono peccatore, cosa posso fare? Quando il Signore ci chiama non pensa a ciò che siamo, a ciò che eravamo, a ciò che abbiamo fatto o smesso di fare. Al contrario: nel momento in cui ci chiama, Egli sta guardando tutto quello che potremmo fare, tutto l’amore che siamo capaci di contagiare. Lui scommette sempre sul futuro, sul domani. Gesù ti proietta all’orizzonte, mai al museo.

Per questo, amici, oggi Gesù ti invita, ti chiama a lasciare la tua impronta nella vita, un’impronta che segni la storia, che segni la tua storia e la storia di tanti.

La vita di oggi ci dice che è molto facile fissare l’attenzione su quello che ci divide, su quello che ci separa. Vorrebbero farci credere che chiuderci è il miglior modo di proteggerci da ciò che ci fa male. Oggi noi adulti – noi, adulti! – abbiamo bisogno di voi, per insegnarci – come adesso fate voi, oggi – a convivere nella diversità, nel dialogo, nel condividere la multiculturalità non come una minaccia ma come un’opportunità. E voi siete un’opportunità per il futuro. Abbiate il coraggio di insegnarci, abbiate il coraggio di insegnare a noi che è più facile costruire ponti che innalzare muri! Abbiamo bisogno di imparare questo. E tutti insieme chiediamo che esigiate da noi di percorrere le strade della fraternità. Che siate voi i nostri accusatori, se noi scegliamo la via dei muri, la via dell’inimicizia, la via della guerra. Costruire ponti: sapete qual è il primo ponte da costruire? Un ponte che possiamo realizzare qui e ora: stringerci la mano, darci la mano. Forza, fatelo adesso. Fate questo ponte umano, datevi la mano, tutti voi: è il ponte primordiale, è il ponte umano, è il primo, è il modello. Sempre c’è il rischio – l’ho detto l’altro giorno – di rimanere con la mano tesa, ma nella vita bisogna rischiare, chi non rischia non vince. Con questo ponte, andiamo avanti. Qui, questo ponte primordiale: stringetevi la mano. Grazie. E’ il grande ponte fraterno, e possano imparare a farlo i grandi di questo mondo!… ma non per la fotografia - quando si danno la mano e pensano un’altra cosa -, bensì per continuare a costruire ponti sempre più grandi. Che questo ponte umano sia seme di tanti altri; sarà un’impronta.

Oggi Gesù, che è la via, chiama te, te, te [indica ciascuno] a lasciare la tua impronta nella storia. Lui, che è la vita, ti invita a lasciare un’impronta che riempia di vita la tua storia e quella di tanti altri. Lui, che è la verità, ti invita a lasciare le strade della separazione, della divisione, del non-senso. Ci stai? [Sì!] Ci stai? [Sì!] Cosa rispondono adesso - voglio vedere - le tue mani e i tuoi piedi al Signore, che è via, verità e vita? Ci stai? [Sì!] Il Signore benedica i vostri sogni. Grazie!

SANTA MESSA PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

Campus Misericordiae - Cracovia, Domenica, 31 luglio 2016

Cari giovani, siete venuti a Cracovia per incontrare Gesù. E il Vangelo oggi ci parla proprio dell’incontro tra Gesù e un uomo, Zaccheo, a Gerico (cfr Lc 19,1-10). Lì Gesù non si limita a predicare, o a salutare qualcuno, ma vuole – dice l’Evangelista – attraversare la città (cfr v. 1). Gesù desidera, in altre parole, avvicinarsi alla vita di ciascuno, percorrere il nostro cammino fino in fondo, perché la sua vita e la nostra vita si incontrino davvero.

Avviene così l’incontro più sorprendente, quello con Zaccheo, il capo dei “pubblicani”, cioè degli esattori delle tasse. Dunque Zaccheo era un ricco collaboratore degli odiati occupanti romani; era uno sfruttatore del suo popolo, uno che, per la sua cattiva fama, non poteva nemmeno avvicinarsi al Maestro. Ma l’incontro con Gesù gli cambia la vita, come è stato e ogni giorno può essere per ciascuno di noi. Zaccheo, però, ha dovuto affrontare alcuni ostacoli per incontrare Gesù. Non è stato facile, per lui, ha dovuto affrontare alcuni ostacoli, almeno tre, che possono dire qualcosa anche a noi.

Il primo è la bassa statura: Zaccheo non riusciva a vedere il Maestro perché era piccolo. Anche oggi possiamo correre il rischio di stare a distanza da Gesù perché non ci sentiamo all’altezza, perché abbiamo una bassa considerazione di noi stessi. Questa è una grande tentazione, che non riguarda solo l’autostima, ma tocca anche la fede. Perché la fede ci dice che noi siamo «figli di Dio, e lo siamo realmente» (1 Gv 3,1): siamo stati creati a sua immagine; Gesù ha fatto sua la nostra umanità e il suo cuore non si staccherà mai da noi; lo Spirito Santo desidera abitare in noi; siamo chiamati alla gioia eterna con Dio! Questa è la nostra “statura”, questa è la nostra identità spirituale: siamo i figli amati di Dio, sempre. Capite allora che non accettarsi, vivere scontenti e pensare in negativo significa non riconoscere la nostra identità più vera: è come girarsi dall’altra parte mentre Dio vuole posare il suo sguardo su di me, è voler spegnere il sogno che Egli nutre per me. Dio ci ama così come siamo, e nessun peccato, difetto o sbaglio gli farà cambiare idea. Per Gesù – ce lo mostra il Vangelo – nessuno è inferiore e distante, nessuno insignificante, ma tutti siamo prediletti e importanti: tu sei importante! E Dio conta su di te per quello che sei, non per ciò che hai: ai suoi occhi non vale proprio nulla il vestito che porti o il cellulare che usi; non gli importa se sei alla moda, gli importi tu, così come sei. Ai suoi occhi vali e il tuo valore è inestimabile.

Quando nella vita ci capita di puntare in basso anziché in alto, può aiutarci questa grande verità: Dio è fedele nell’amarci, persino ostinato. Ci aiuterà pensare che ci ama più di quanto noi amiamo noi stessi, che crede in noi più di quanto noi crediamo in noi stessi, che “fa sempre il tifo” per noi come il più irriducibile dei tifosi. Sempre ci attende con speranza, anche quando ci rinchiudiamo nelle nostre tristezze, rimuginando continuamente sui torti ricevuti e sul passato. Ma affezionarci alla tristezza non è degno della nostra statura spirituale! E’ anzi un virus che infetta e blocca tutto, che chiude ogni porta, che impedisce di riavviare la vita, di ricominciare. Dio, invece, è ostinatamente speranzoso: crede sempre che possiamo rialzarci e non si rassegna a vederci spenti e senza gioia. E’ triste vedere un giovane senza gioia. Perché siamo sempre i suoi figli amati. Ricordiamoci di questo all’inizio di ogni giornata. Ci farà bene ogni mattina dirlo nella preghiera: “Signore, ti ringrazio perché mi ami; sono sicuro che tu mi ami; fammi innamorare della mia vita”. Non dei miei difetti, che vanno corretti, ma della vita, che è un grande dono: è il tempo per amare ed essere amati.

Zaccheo aveva un secondo ostacolo sulla via dell’incontro con Gesù: la vergogna paralizzante. Su questo abbiamo detto qualcosa ieri sera. Possiamo immaginare che cosa sia successo nel cuore di Zaccheo prima di salire su quel sicomoro, ci sarà stata una bella lotta: da una parte una curiosità buona, quella di conoscere Gesù; dall’altra il rischio di una tremenda figuraccia. Zaccheo era un personaggio pubblico; sapeva che, provando a salire sull’albero, sarebbe diventato ridicolo agli occhi di tutti, lui, un capo, un uomo di potere, ma tanto odiato. Ma ha superato la vergogna, perché l’attrattiva di Gesù era più forte. Avrete sperimentato che cosa succede quando una persona diventa tanto attraente da innamorarsene: allora può capitare di fare volentieri cose che non si sarebbero mai fatte. Qualcosa di simile accadde nel cuore di Zaccheo, quando sentì che Gesù era talmente importante che avrebbe fatto qualunque cosa per Lui, perché Lui era l’unico che poteva tirarlo fuori dalle sabbie mobili del peccato e della scontentezza. E così la vergogna che paralizza non ha avuto la meglio: Zaccheo – dice il Vangelo – «corse avanti», «salì» e poi, quando Gesù lo chiamò, «scese in fretta» (vv. 4.6). Ha rischiato, si è messo in gioco. Questo è anche per noi il segreto della gioia: non spegnere la curiosità bella, ma mettersi in gioco, perché la vita non va chiusa in un cassetto. Davanti a Gesù non si può rimanere seduti in attesa con le braccia conserte; a Lui, che ci dona la vita, non si può rispondere con un pensiero o con un semplice “messaggino”!

Cari giovani, non vergognatevi di portargli tutto, specialmente le debolezze, le fatiche e i peccati nella Confessione: Lui saprà sorprendervi con il suo perdono e la sua pace. Non abbiate paura di dirgli “sì” con tutto lo slancio del cuore, di rispondergli generosamente, di seguirlo! Non lasciatevi anestetizzare l’anima, ma puntate al traguardo dell’amore bello, che richiede anche la rinuncia, e un “no” forte al doping del successo ad ogni costo e alla droga del pensare solo a sé e ai propri comodi.

Dopo la bassa statura, dopo vergogna paralizzante, c’è un terzo ostacolo che Zaccheo ha dovuto affrontare, non più dentro di sé, ma attorno a sé. È la folla mormorante, che prima lo ha bloccato e poi lo ha criticato: Gesù non doveva entrare in casa sua, in casa di un peccatore! Quanto è difficile accogliere davvero Gesù, quanto è duro accettare un «Dio, ricco di misericordia» (Ef 2,4). Potranno ostacolarvi, cercando di farvi credere che Dio è distante, rigido e poco sensibile, buono con i buoni e cattivo con i cattivi. Invece il nostro Padre «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni» (Mt 5,45) e ci invita al coraggio vero: essere più forti del male amando tutti, persino i nemici. Potranno ridere di voi, perché credete nella forza mite e umile della misericordia. Non abbiate timore, ma pensate alle parole di questi giorni: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). Potranno giudicarvi dei sognatori, perché credete in una nuova umanità, che non accetta l’odio tra i popoli, non vede i confini dei Paesi come delle barriere e custodisce le proprie tradizioni senza egoismi e risentimenti. Non scoraggiatevi: col vostro sorriso e con le vostre braccia aperte voi predicate speranza e siete una benedizione per l’unica famiglia umana, che qui così bene rappresentate!

La folla, quel giorno, ha giudicato Zaccheo, lo ha guardato dall’alto in basso; Gesù, invece, ha fatto il contrario: ha alzato lo sguardo verso di lui (v. 5). Lo sguardo di Gesù va oltre i difetti e vede la persona; non si ferma al male del passato, ma intravede il bene nel futuro; non si rassegna di fronte alle chiusure, ma ricerca la via dell’unità e della comunione; in mezzo a tutti, non si ferma alle apparenze, ma guarda al cuore. Gesù guarda il nostro cuore, il tuo cuore, il mio cuore. Con questo sguardo di Gesù, voi potete far crescere un’altra umanità, senza aspettare che vi dicano “bravi”, ma cercando il bene per sé stesso, contenti di conservare il cuore pulito e di lottare pacificamente per l’onestà e la giustizia. Non fermatevi alla superficie delle cose e diffidate delle liturgie mondane dell’apparire, dal maquillage dell’anima per sembrare migliori. Invece, installate bene la connessione più stabile, quella di un cuore che vede e trasmette il bene senza stancarsi. E quella gioia che gratuitamente avete ricevuto da Dio, per favore, gratuitamente donatela (cfr Mt 10,8), perché tanti la attendono! E la attendono da voi.

Ascoltiamo, infine, le parole di Gesù a Zaccheo, che sembrano dette apposta per noi oggi, per ognuno di noi: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (v. 5). “Scendi subito, perché oggi devo fermarmi con te. Aprimi la porta del tuo cuore”. Gesù ti rivolge lo stesso invito: “Oggi devo fermarmi a casa tua”. La GMG, potremmo dire, comincia oggi e continua domani, a casa, perché è lì che Gesù vuole incontrarti d’ora in poi. Il Signore non vuole restare soltanto in questa bella città o nei ricordi cari, ma desidera venire a casa tua, abitare la tua vita di ogni giorno: lo studio e i primi anni di lavoro, le amicizie e gli affetti, i progetti e i sogni. Quanto gli piace che nella preghiera tutto questo sia portato a Lui! Quanto spera che tra tutti i contatti e le chat di ogni giorno ci sia al primo posto il filo d’oro della preghiera! Quanto desidera che la sua Parola parli ad ogni tua giornata, che il suo Vangelo diventi tuo, e che sia il tuo “navigatore” sulle strade della vita!

Mentre ti chiede di venire a casa tua, Gesù, come ha fatto con Zaccheo, ti chiama per nome. Tutti noi, Gesù chiama per nome. Il tuo nome è prezioso per Lui. Il nome di Zaccheo evocava, nella lingua del tempo, il ricordo di Dio. Fidatevi del ricordo di Dio: la sua memoria non è un “disco rigido” che registra e archivia tutti i nostri dati, la sua memoria è un cuore tenero di compassione, che gioisce nel cancellare definitivamente ogni nostra traccia di male. Proviamo anche noi, ora, a imitare la memoria fedele di Dio e a custodire il bene che abbiamo ricevuto in questi giorni. In silenzio facciamo memoria di questo incontro, custodiamo il ricordo della presenza di Dio e della sua Parola, ravviviamo in noi la voce di Gesù che ci chiama per nome. Così preghiamo in silenzio, facendo memoria, ringraziando il Signore che qui ci ha voluti e incontrati.

ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

al termine di questa Celebrazione, desidero unirmi a tutti voi nel rendere grazie a Dio, Padre di infinita misericordia, perché ci ha concesso di vivere questa Giornata Mondiale della Gioventù. Ringrazio il Cardinale Dziwisz e il Cardinale Ryłko, - instancabili lavoratori per questa giornata - e anche per le preghiere che hanno fatto e con le quali hanno preparato questo evento; e ringrazio tutti coloro che hanno collaborato per la sua buona riuscita. Un immenso “grazie” va a voi, cari giovani! Avete riempito Cracovia con l’entusiasmo contagioso della vostra fede. San Giovanni Paolo II ha gioito dal Cielo, e vi aiuterà a portare dappertutto la gioia del Vangelo.

In questi giorni abbiamo sperimentato la bellezza della fraternità universale in Cristo, centro e speranza della nostra vita. Abbiamo ascoltato la sua voce, la voce del Buon Pastore, vivo in mezzo a noi. Egli ha parlato al cuore di ciascuno di voi: vi ha rinnovati con il suo amore, vi ha fatto sentire la luce del suo perdono, la forza della sua grazia. Vi ha fatto sperimentare la realtà della preghiera. E’ stata una “ossigenazione” spirituale perché possiate vivere e camminare nella misericordia una volta ritornati ai vostri Paesi e alle vostre comunità.

Qui accanto all’altare c’è l’immagine della Vergine Maria venerata da san Giovanni Paolo II nel Santuario di Calvaria. Lei, la nostra Madre, ci insegna in che modo l’esperienza vissuta qui in Polonia può essere feconda; ci dice di fare come lei: non disperdere il dono ricevuto, ma custodirlo nel cuore, perché germogli e porti frutto, con l’azione dello Spirito Santo. In questo modo ognuno di voi, con i suoi limiti e le sue fragilità, potrà essere testimone di Cristo là dove vive, in famiglia, in parrocchia, nelle associazioni e nei gruppi, negli ambienti di studio, di lavoro, di servizio, di svago, dovunque la Provvidenza vi guiderà nel vostro cammino.

La Provvidenza di Dio sempre ci precede. Pensate che ha già deciso quale sarà la prossima tappa di questo grande pellegrinaggio iniziato nel 1985 da san Giovanni Paolo II! E perciò vi annuncio con gioia che la prossima Giornata Mondiale della Gioventù – dopo le due a livello diocesano – sarà nel 2019 a Panamá!

Invito i vescovi del Panamá ad avvicinarsi, per dare con me la benedizione.

Con l’intercessione di Maria, invochiamo lo Spirito Santo perché illumini e sostenga il cammino dei giovani nella Chiesa e nel mondo, perché siate discepoli e testimoni della Misericordia di Dio.