Discorso di san Giovanni Paolo II agli studenti di Univ 83

Lo studio si può considerare lavoro? Il Papa ricorda ai giovani l'importanza del messaggio di san Josemaría di santificazione dell'ordinario.

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Martedì 29 marzo 1983

1. Carissimi.

È giunto anche quest’anno il momento del nostro ormai abituale appuntamento, in occasione del vostro incontro a Roma, il quale è dedicato, questa volta, al tema: “Lo studio come lavoro”.

Voglio esprimervi la gioia con cui mi unisco a voi, studenti e docenti universitari di tanti Paesi, e la fiducia con cui affido le vostre speranze all’intercessione della santissima Vergine, “Causa nostrae letitiae”, Sorgente della gioia, che deve pervadere la vita di ogni cristiano e soprattutto di voi giovani.

Lo studio si può considerare come un lavoro? Certamente, almeno se intendiamo i concetti di “studio” e di “lavoro” nel loro significato più profondo, che è umanistico e religioso ad un tempo.

Lo studio, nel senso tecnico e preciso, è innanzitutto lavoro dell’intelletto alla ricerca della verità da conoscere e comunicare. Se “lavoro vuol dire disciplina, metodo, fatica, lo studio è certamente tutto questo. E come è fondamentale per la vostra vita il lavoro metodico, umile, perseverante del nostro intelletto! È infatti, come dice Cristo, dalla conquista della verità, che ci viene la libertà, quella libertà vera che vuol dire perfezione della persona, virtù, santità.

2. Lo studio, però, non è soltanto lavoro dell’intelletto: è anche lavoro della volontà. L’intelletto non può procedere da solo nella ricerca della verità - soprattutto quando si tratta delle verità morali - se non è costantemente sorretto dalla volontà. Non si trova la verità se non la si ama: e l’amore è atto della volontà. Le verità più alte, poi, che sono quelle del Vangelo, non possono essere autenticamente ed intimamente conosciute, senza quella forma di amore soprannaturale che è la carità, per mezzo della quale soltanto possiamo conoscere veramente Dio, Verità infinita.

Lo studio, però, non è soltanto lavoro dell’intelletto: è anche lavoro della volontà.

Ma quando diciamo “volontà”, diciamo “responsabilità”. Lo studio non va inteso come un processo meramente tecnico e intellettuale, preoccupato soltanto del rispetto delle leggi della logica. Se in esso la volontà ha una parte essenziale, ciò significa che lo studio va inteso come “lavoro” anche in un senso morale. Esso non serve a sviluppare soltanto le virtù intellettuali, ma anche quelle morali. Ha quindi uno stretto rapporto col bene dell’uomo. Atto di responsabilità, lo studio deve rafforzare la nostra responsabilità nella ricerca del vero bene dell’uomo. Da questo punto di vista lo studio è lavoro in un senso più profondo: esso non è soltanto al servizio di conoscenze astratte, ma si rivela decisivo nell’orientare l’uomo verso il suo destino eterno.

Da molti si rileva che oggi gli studenti hanno riscoperto l’interesse e il gusto per uno studio condotto con serietà. Ma è altrettanto generalizzata la constatazione che tale impegno si snoda all’interno di un preoccupante vuoto di valori autentici. Molti vostri colleghi sono propensi ad affrontare lo studio con un positivo atteggiamento di professionalità, ma al contempo lo considerano in modo tendenzialmente utilitaristico, in vista di una semplice affermazione di se stessi. Sembra così riaffermarsi il cinico slogan secondo cui “sapere è potere”.

Ora, certamente lo studio può intendersi come “lavoro” nel senso che esso deve avere un concreto orientamento verso la professionalità. Occorre tuttavia fare attenzione a che questo orientamento pratico dello studio non sia conseguenza o espressione di quel materialismo (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 13) per il quale l’uomo stesso viene ridotto a strumento della propria o dell’altrui ambizione. Dobbiamo ripetere che lavorare è servire e che la gioia di mettere se stessi e il proprio lavoro al servizio del Bene non potrà mai essere sostituita dall’illusione di un effimero potere individuale.

3. Da ciò noi comprendiamo che lo “studio come lavoro” è espressione nella quale è evocato quel “lavoro” che dobbiamo compiere su noi stessi per maturare come uomini, più ancora, come cristiani.

Il lavoro più importante infatti non è quello della trasformazione del mondo, ma quello della trasformazione di noi stessi

Il lavoro più importante infatti non è quello della trasformazione del mondo, ma quello della trasformazione di noi stessi, per renderci sempre più conformi a quell’immagine di Dio che il Creatore ha inscritto nel nostro essere.

A nulla varrebbe sottomettere la natura con i più raffinati ritrovati della tecnologia, se poi non fossimo capaci di sottomettere noi stessi alla guida della nostra coscienza illuminata dalla legge divina. Ci raggiungerebbe in tal caso l’inquietante interrogativo del Signore: “Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8, 36).

Il senso del lavoro, dunque, viene illuminato dal senso cristiano della vita; la comprensione della fatica umana dipende dalla comprensione della vocazione con cui Dio chiama l’uomo a servire il Bene con tutto se stesso, in tutte le proprie opere. L’uomo è il fine del lavoro, ma il fine dell’uomo è Dio: il significato del lavoro, dunque, supera il lavoro stesso e lo libera.

A questo punto possiamo comprendere qual è il senso più profondo dello studio e del lavoro ad un tempo: la ricerca della santità. Il compito che si dischiude davanti a voi, che perseguite una testimonianza cristiana nel lavoro universitario, si può quindi racchiudere in una parola piena di contenuto: santità. Santità nello studio e mediante lo studio. Il mondo del lavoro ha bisogno della vostra vita santa. E questa vita santa è fatta di dottrina e di preghiera, di intimità con Cristo e di lavoro: è fatta d’Amore. Il motivo di ciò? Lo traggo da parole certamente a voi ben note: “La vostra vocazione umana è parte importante della vostra vocazione divina. Ecco il motivo per cui dovete santificarvi - collaborando al tempo stesso alla santificazione degli altri -santificando precisamente il vostro lavoro e il vostro ambiente, e cioè la professione o il mestiere che riempie i vostri giorni, che dà una fisionomia particolare alla vostra personalità umana, che è il vostro modo di essere presenti nel mondo” (Josemaria Escrivá, È Gesù che passa, 46).

Il lavoro è dunque espressione della capacità di amare Dio e i fratelli, sforzo per cooperare al disegno del Creatore in favore delle sue creature (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 25). E poiché ostacolo all’amore di Dio è il peccato che inquina le opere dell’uomo e turba i luoghi della sua attività, trasformandoli in sedi di conflitti e di odio, appare evidente che il cristiano saprà servire il mondo del lavoro solo se saprà lottare contro il peccato che si annida nella sua anima. Torna allora opportuno, a questo proposito, il richiamo “ad un impegno singolare di penitenza e di rinnovamento” (Giovanni Paolo II, Aperite portas Redemptori, 4) che ho rivolto a tutti i fedeli in occasione dell’Anno Giubilare della Redenzione. Pensate alla grandiosa forza di trasformazione del mondo che vi è racchiusa.

4. L’invito dell’Anno Santo alla penitenza non è voce di tristezza, ma di gioia: invito alla sofferta contemplazione del Mistero della Passione di Cristo e invito alla gioia della rinascita mediante il perdono: la santità cristiana non consiste nell’impeccabilità, ma nella lotta per non cedere e per rialzarsi sempre, dopo ogni cedimento. Essa non deriva tanto dalla forza della volontà dell’uomo, quanto piuttosto dallo sforzo per non ostacolare mai l’azione della grazia nella propria anima, e di esserne anzi gli umili “collaboratori”: ecco lo “studio”, ecco il “lavoro” più importante.

Nell’indire l’Anno Santo della Redenzione, ho parlato di “un anno ordinario celebrato in modo straordinario”: (Giovanni Paolo II, Aperite portas Redemptori, 3)a voi chiedo oggi di svolgere straordinariamente bene il vostro lavoro ordinario. Con impegno umano, ma soprattutto con un amore crescente di giorno in giorno, che porti frutti di fedeltà. Così, purificando la vostra vita, vedrete costantemente di fronte a voi la luce.

Carissimi, che la Madonna, Stella mattutina, rischiari sempre, ad ogni nuovo giorno il vostro rinnovato impegno di seguire suo Figlio e di condurre a lui tutte le creature. Vi accompagna la mia affettuosa benedizione.

© Copyright 1983 - Libreria Editrice Vaticana

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