Dio: una parola ignorata?

Comunicare la fede nella società attuale è una delle sfide per i cristiani nell'Anno della Fede. Riproduciamo la conferenza della teologa Jutta Burggraf "Comunicare l'identità cristiana oggi": "Dobbiamo parlare della trasmissione della fede. Mi riferisco ai figli, agli altri parenti, agli amici, vicini e colleghi Vogliamo dialogare con tutti".

Jutta Burggraf in una immagine d'archivio

Riproduciamo la conferenza della teologa Jutta Burggraf "Comunicare l'identità cristiana oggi", tenuta a Roma presso la Pontificia Università della Santa Croce il 27 aprile 2010 -7 mesi prima della sua morte- in occasione del congresso "Comunicazione della Chiesa, identità e dialogo".

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Dobbiamo parlare della trasmissione della fede. Mi riferisco ai figli, agli altri parenti, agli amici, vicini e colleghi: a tutti quelli che entrano in una casa allegra e aperta; in una casa aperta a persone di ogni genere e condizione, di tutti i colori e di tutte le credenze. Vogliamo dialogare con tutti, come ci ha insegnato San Josemaría Escrivá, il Fondatore dell'Opus Dei.

Dio: una parola ignorata?

Voglio iniziare la nostra riflessione con una scena presentata da Nietzsche più di cent'anni fa. Nel suo libro "La Gaia scienza", questo filosofo così perspicace fece gridare ad un folle: "Cerco Dio!, Cerco Dio!… E dove se n'è andato Dio?"… Ve lo dico io… "Dio è morto! E siamo stati noi ad ucciderlo!… Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli". …A questo punto il folle tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano perplessi. Infine gettò a terra la sua lanterna che andò in pezzi e si spense. “Vengo troppo presto – disse – il mio tempo non è ancora arrivato. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e non è arrivato fino alle orecchie degli uomini" [1].

Oggi, un secolo più tardi, possiamo constatare che questo "enorme avvenimento" è arrivato alle orecchie di gran parte dei nostri contemporanei, per i quali "Dio" non è altro che una parola vuota. Si parla di un attuale "analfabetismo religioso", di una ignoranza persino dei concetti più elementari della fede [2].

Alcuni si sono domandati se un bambino che non conosce la parola "grazie" può essere grato: perché il linguaggio non esprime solo quello che penso, ma anche lo trattiene. In ogni caso, lo determina molto profondamente. Lo possiamo verificare nelle diverse lingue. Parlare cinese o francese, non significa semplicemente cambiare una parola con un'altra, ma avere altri schemi mentali e percepire il mondo secondo le circostanze di ogni luogo. Alcune tribù della Siberia, per esempio, hanno molte parole distinte per dire "neve" (a seconda che sia bianca o grigia, dura o soffice, nuova o vecchia), mentre i popoli arabi dispongono di innumerevoli parole per dire "cavallo". Tenendo presente questo, si può comprendere come Carlo V affermò: "quante lingue parlo, tante volte sono uomo". Riguardo al tema religioso, possiamo concludere: se vivo in un mondo secolarizzato e ignoro il linguaggio della fede, è umanamente impossibile arrivare ad essere un cristiano.

Comprendere il cuore dell'uomo di oggi

Se vogliamo parlare della fede, è necessario tener conto dell'ambiente nel quale ci muoviamo. Dobbiamo conoscere il cuore dell'uomo d'oggi -con i suoi dubbi e le sue perplessità- che è il nostro stesso cuore, con i suoi dubbi e le sue perplessità.

Generalmente abbiamo molti idoli, per esempio, la salute, il "culto del corpo", la bellezza il successo, il denaro o lo sport; tutti questi acquisiscono, in certe circostanze, i lineamenti di una nuova religione. Chesterton dice: "Quando non si crede più in Dio, non è che si può credere in niente, e il problema più grave è che, allora, si può credere in qualsiasi cosa".

E davvero a volte sembra che qualunque cosa sia più credibile di una verità cristiana. I miei alunni delle Facoltà civili, per esempio -studenti di diritto o di chimica- parlano, con molta buona volontà, della "reincarnazione" di Cristo (che ebbe luogo circa 2000 anni fa). A quanto pare, la parola "reincarnazione" è loro molto più familiare che la parola "incarnazione". Vediamo l'influenza del buddismo e dell'induismo in Occidente. Perché esercitano un'attrazione così forte? Sembra che si desideri l'esotico, il "liberal", qualcosa come una "religione alla carta". Non si cerca ciò che è vero, ma quello che è desiderabile, quello che mi piace e mi va bene: un po' di Budda, un po' di Shiva, un po' di Gesù di Nazaret.

In epoche precedenti, la vita era considerata come progresso. Oggi, invece, la vita è considerata come turismo: non c'è continuità, ma discontinuità; camminiamo senza una direzione fissa. Il motto di un motociclista esprime questo molto bene: "non so dove vado, ma voglio arrivarci rapidamente". In letteratura si parla della "oscurità moderna", del "caos attuale".

"L'uomo moderno è uno zingaro", si è detto a ragione. Non ha un focolare: forse ha una casa per il corpo, ma non per l'anima. C'è mancanza di orientamento, insicurezza, e anche molta solitudine. Così, non deve stupire che si voglia raggiungere la felicità nel piacere immediato, o forse nell'applauso. Se qualcuno non è amato, vuole almeno essere lodato.

Forse, tutti ci siamo abituati a non pensare: almeno a non pensare fino in fondo. È il cosiddetto pensiero debole. Viviamo in un'epoca in cui abbiamo mezzi sempre più perfetti ma i fini sono piuttosto disturbati.

Sete di interiorità

Allo stesso tempo, possiamo scoprire una vera "sete di interiorità", tanto nella letteratura che nell'arte, nella musica, e anche nel cinema. Sempre più persone cercano un'esperienza di silenzio e di contemplazione; nello stesso tempo, sono delusi del cristianesimo che, in molti ambienti, ha fama di non essere altro che una rigida "istituzione burocratica", con precetti e castighi.

Altre persone fuggono dalla Chiesa per motivi opposti: la predicazione cristiana pare loro troppo "superficiale", molto "light", senza fondamento e senza esigenze rigorose. Non cercano il "liberal", ma tutto il contrario: cercano ciò che è "sicuro". Vogliono che qualcuno dica loro con assoluta certezza qual è la strada per la salvezza, e che un altro pensi e decida per loro: ecco il grande mercato delle sette [3].

Sempre più persone cercano un'esperienza di silenzio e di contemplazione

Viviamo in società multiculturali, nelle quali si possono osservare contemporaneamente i fenomeni più contraddittori. Alcuni cercano di riassumere tutto quello che succede in un'unica parola: post-modernismo. Il termine indica che si tratta di una situazione di cambiamento: è un'epoca che viene "dopo" il modernismo e "prima" di una nuova era che ancora non conosciamo. (Gli adepti della New Age si sono appropriati del nome: secondo loro, già saremmo in questa nuova epoca, però -a mio modo di vedere- si tratta di un errore: loro sono semplicemente "post-moderni").

Il post-modernismo è un periodo limitato che indica il fallimento del modernismo. Lo si può comparare con il "dopo-guerra" -il tempo difficile dopo una guerra-, che è la preparazione per qualcosa di nuovo. E si può mettere in relazione anche con il periodo "post-operatorio", quando una persona è in convalescenza da un'operazione chirurgica, prima di ritornare alle attività normali.

Sembra, realmente, che viviamo un cambiamento epocale: stiamo entrando in una nuova tappa dell'umanità. E le novità reclamano un nuovo modo di parlare e di agire.

Come conviene parlare della fede in questo guazzabuglio?

Prima di tutto, ci possono aiutare alcune riflessioni di Romano Guardini, che non hanno perso nulla della loro attualità. Nelle sue Lettere dal lago di Como, questo grande scrittore cristiano parla della sua inquietudine riguardo al mondo moderno. Si riferisce, per esempio, a quanto di artificioso c'è nella nostra vita, scrive della manipolazione alla quale siamo esposti ogni giorno, tratta della perdita dei valori tradizionali e della luce stridente che ci viene dalla psicoanalisi… Dopo aver mostrato, in otto lunghe lettere, una panoramica veramente disperante, alla fine del libro cambia improvvisamente atteggiamento. Nella nona e ultima lettera esprime un "sì rotondo" a questo mondo nel quale gli è toccato vivere, e spiega al lettore sorpreso che questo è esattamente quello che Dio chiede a ciascuno. Il cambiamento culturale, al quale assistiamo, non può portare i cristiani ad un frastornamento generalizzato [4]. Non è possibile che dappertutto si vedano persone preoccupate e oberate che rimpiangono i tempi passati. Perché è Dio stesso colui che agisce nei cambiamenti. Dobbiamo essere disposti ad ascoltarlo e lasciarci formare da Lui [5].

Sei disposto a cambiare il tuo linguaggio?

Chi vuole influire sul presente, deve amare il mondo nel quale vive. Non deve guardare al passato, con nostalgia e rassegnazione, ma deve adottare un atteggiamento positivo davanti al momento storico concreto: dovrebbe stare all'altezza dei nuovi avvenimenti, che caratterizzano le sue gioie e le sue preoccupazioni, e tutto il suo stile di vita. "In tutta la storia del mondo c'è un'unica ora importante, quella attuale", dice Bonhoeffer. "Chi fugge dal presente, fugge dall'ora di Dio" [6].

Al giorno d'oggi, una persona percepisce i diversi avvenimenti del mondo in modo diverso dalle generazioni precedenti, e reagisce anche affettivamente in un altro modo. Per questo motivo, è così importante sapere ascoltare [7]. Un buon teologo legge sia la Scrittura che il giornale, qualche rivista o Internet; mostra vicinanza e simpatia per il nostro mondo [8]. E sa che è nella mente e nei cuori degli uomini e delle donne che lo circondano che può incontrare Dio, in un modo molto più vivo che nelle teorie o nei ragionamenti.

I cambiamenti di mentalità invitano a esporre le proprie credenze in un modo diverso da prima [9]. A questo proposito uno scrittore commenta: "Non sono disposto a modificare le mie idee (fondamentali) per quanto i tempi cambino. Però sono disposto ad adeguare tutte le formulazioni esteriori all'altezza dei miei tempi, semplicemente per amore alle mie idee e ai miei fratelli, perché se parlo con un linguaggio morto o con un approccio superato, starei sotterrando le mie idee senza comunicare con nessuno" [10].

La personalità di chi parla

Per parlare di Dio, non bisogna solo tenere conto dell'ambiente che ci circonda. È ancora più decisiva la personalità di colui che parla: perché, nel parlare, non solo comunichiamo qualcosa; prima di tutto, esprimiamo noi stessi. Il linguaggio è uno "specchio del nostro spirito" [11].

C'è anche un linguaggio non verbale, che sostituisce o accompagna le nostre parole. È il clima che creiamo intorno a noi, di solito attraverso cose molto piccole, come, per esempio, un sorriso cordiale o uno sguardo di apprezzamento. Quando nel corpo umano mancano gli oligoelementi, per quanto siano minimi, ci si può ammalare gravemente e morire. Allo stesso modo possiamo parlare di "oligoelementi" in un certo ambiente: sono quei dettagli, difficilmente dimostrabili e ancor meno esigibili, che fanno sì che l'altro si senta a suo agio, che si renda conto di essere amato e apprezzato.

Essere e sembrare

Ci conviene prendere sul serio alcune delle moderne teorie della comunicazione (che, certamente, esprimono verità scontate). Queste teorie ci ricordano che una persona trasmette più per quello che è che per quello che dice. Alcuni affermano anche che l'80 o 90% della nostra comunicazione avviene in forma non verbale.

Inoltre, trasmettiamo solo una piccola parte dell'informazione in modo cosciente, e tutto il resto in modo inconsapevole: attraverso lo sguardo o l'espressione del volto, attraverso le mani e i gesti, la voce e tutto il linguaggio corporale. Il corpo fa conoscere il nostro mondo interiore, "traduce" le emozioni e aspirazioni, la speranza e la delusione, la generosità e l'angoscia, l'odio e la disperazione, l'amore, la supplica, la rassegnazione e il trionfo; e difficilmente inganna. Sant'Agostino parla di un "linguaggio naturale di tutti i popoli" [12].

Allo stesso modo, gli altri percepiscono il messaggio solo in parte in modo cosciente, e si rendono conto di molte cose inconsapevolmente. Mi è rimasta impressa una circostanza, nella quale ho verificato questa verità in modo molto chiaro. Quando lavoravo in un'istituzione per persone malate e sole, un giorno un dirigente entrò nella stanza di un malato e gli parlava molto amabilmente, facendogli ogni tipo di carezze. Però quando uscì dalla stanza, il malato mi confessò che aveva molta antipatia per questo dirigente. Perché? A causa del mio lavoro mi ero resa conto che il visitatore, in realtà, disprezzava il malato. Voleva dissimularlo, però lo espresse inconsapevolmente. E, come era da temersi, il malato se ne rese conto perfettamente.

La fede crea un clima nel quale tutti si sentono a loro agio, amabilmente interpellati a dare il meglio di sé

Questo vuol dire che non basta sorridere e avere un aspetto gradevole. Se vogliamo toccare il cuore degli altri dobbiamo cambiare prima di tutto il nostro stesso cuore. L'insegnamento più importante si impartisce per mezzo della semplice presenza di una persona matura e piena d'amore. Nell'antica Cina e in India, l'uomo più considerato era quello che possedeva qualità spirituali eminenti. Trasmetteva non solo conoscenze, ma atteggiamenti umani profondi. Coloro che entravano in contatto con lui, desideravano cambiare e crescere -e perdevano la paura di essere diversi.

Giustamente oggi è molto importante sperimentare che la fede è molto umana e molto umanizzante; la fede crea un clima nel quale tutti si sentono a loro agio, amabilmente interpellati a dare il meglio di sé. Questa verità si esprime nella vita di molti grandi personaggi, dall'apostolo San Giovanni a Madre Teresa di Calcutta e San Josemaría Escrivá.

Identità cristiana e autenticità

Per parlare di Dio con efficacia, è necessaria una chiara identità cristiana. Forse il nostro linguaggio sembra, a volte, così incolore, perché non siamo ancora sufficientemente convinti della bellezza della fede e del gran tesoro che abbiamo, e ci lasciamo facilmente schiacciare dall'ambiente.

Però la luce viene prima delle tenebre, e il nostro Dio è colui che è eternamente Nuovo. Non è la "vetustà" del cristianesimo originario quello che pesa agli uomini, ma il cosiddetto cristianesimo borghese. "Però questo cristianesimo borghese non è cristianesimo -avverte Congar-. È solo l'incarnazione del cristianesimo nella civiltà borghese." [13]. Questo fatto ci permette di avere una certa dose di ottimismo e di speranza al momento di parlare di Dio.

Un cristiano non deve essere perfetto, ma autentico sì. Gli altri notano se una persona è convinta del contenuto del suo discorso

Un cristiano non deve essere perfetto, ma autentico sì. Gli altri notano se una persona è convinta del contenuto del suo discorso, o no. Le stesse parole -per esempio, "Dio è amore"- possono essere banali o straordinarie, secondo il modo in cui si dicono. "Questo modo dipende dalla profondità della regione dell'essere di un uomo da cui vengono, senza che la volontà possa fare nulla. E per un accordo meraviglioso, raggiungono la stessa regione in chi ascolta" [14]. Se qualcuno parla per la gioia di aver incontrato Dio nel fondo del suo cuore, può succedere che commuova e gli altri con la forza della sua parola. Non c'è bisogno che sia un brillante oratore. Parla semplicemente con l'autorevolezza di chi vive -o cerca di vivere- quello che dice; comunica qualcosa dal centro stesso della sua esistenza, senza frasi fatte né ricette noiose.

Una persona assimila, come per osmosi, atteggiamenti e comportamenti di quelli che lo circondano. Così, ogni attività cristiana può invitare ad aprirsi a Dio, che sia o meno in relazione esplicita con la fede. Però può anche scandalizzare gli altri, in modo che le parole perdano valore. Edith Stein racconta che perse la sua fede ebraica quando, da bambina, si rese conto che, nelle cerimonie di Pasqua, i suoi fratelli maggiori "facevano solo teatro" e non credevano a quello che dicevano.

Serenità

Un cristiano non è, prima di tutto, una persona "pia", ma una persona felice, perché ha trovato il senso della sua esistenza. Proprio per questo è capace di trasmettere agli altri l'amore alla vita, che è contagioso quanto l'angoscia.

Come può comprendere e consolare chi non è mai stato sconquassato dalla tristezza?

Non si tratta, normalmente, di una felicità clamorosa, ma di una tranquilla serenità, frutto di avere assimilato il dolore e i cosiddetti "colpi del destino". È necessario convincere gli altri -senza nascondere le proprie difficoltà- che nessuna esperienza della vita è vana; sempre possiamo imparare e maturare -anche quando usciamo di strada, quando ci perdiamo nel deserto o quando ci sorprende una tempesta. Gertrud von Le Fort afferma che non solo il giorno soleggiato, ma anche la notte oscura ha i suoi miracoli. "Ci sono dei fiori che fioriscono solo nel deserto; stelle che si possono vedere soltanto al limite di un luogo disabitato. Ci sono alcune esperienze dell'amore di Dio che si vivono solo quando ci troviamo nel più completo abbandono, quasi al limite della disperazione" [15].

Come può comprendere e consolare chi non è mai stato sconquassato dalla tristezza? Ci sono persone che, dopo aver molto sofferto, sono diventate comprensive, cordiali, accoglienti e sensibili di fronte al dolore altrui. In una parola, hanno imparato ad amare.

Amore e fiducia

L'amore stimola quanto di meglio c'è nell'uomo. In un clima di accettazione e di affetto, si risvegliano i grandi ideali. Per un bambino, per esempio, è più importante crescere in un ambiente di amore autentico, senza riferimento esplicito alla religione, che in un clima di "devozione" puramente formale, senza affetto. Se manca l'amore, manca la condizione fondamentale per un sano sviluppo. Non si può modellare il ferro freddo; però quando lo si riscalda, è possibile forgiarlo con delicatezza. Attraverso i genitori, i figli dovrebbero scoprire l'amore di Dio [16]. È necessario il "linguaggio delle opere"; è necessario vivere il proprio messaggio. La cosa decisiva non sono le lezioni e il catechismo, che verranno più tardi. Prima, molto prima, conviene preparare la terra perché accolga il seme.

Nei suoi primi anni di vita, ogni bambino fa una scoperta fondamentale, che sarà di importanza vitale per il suo carattere: o "sono importante, mi comprendono e mi amano", o "impiccio, disturbo". Ciascuno deve fare, in qualche modo, l'esperienza di amore che ci trasmette Isaia: "Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo… sulle palme delle mie mani ti ho disegnato" [17].

Se manca questa esperienza, può succedere che una persona non sia mai capace di stabilire relazioni durature, né di lavorare con serietà e, soprattutto, sarà difficile per lei credere davvero nell'amore di Dio: credere che Dio è un Padre che comprende e perdona, e che esige con giustizia per il bene del figlio [18]. "La storia della caduta di ogni uomo e di ogni donna parla del fatto che un bambino meraviglioso, valente, eccellente e con molte qualità perse la percezione del proprio valore" [19]. Questo difficilmente si può aggiustare più tardi dando lezioni sull'amore di Dio. Una persona disse giustamente: "Quello che fai è così rumoroso che non sento quello che dici".

Molte persone non hanno potuto sviluppare la "fiducia originaria". E poiché non la conoscono, si muovono in un ambiente di "paura originaria". Non vogliono sapere niente di Dio; arrivano ad avere paura e perfino terrore di fronte al cristianesimo. Perché, per loro, Dio non è altro che un Giudice severo, che castiga e condanna, e per di più arbitrariamente. Non hanno scoperto che Dio è Amore, un Amore che si dona e che più interessato alla nostra felicità di quanto lo siamo noi stessi.

La trasmissione della fede comincia con un linguaggio non verbale. È il linguaggio dell'affetto

Per questo è così importante credere nelle capacità degli altri e farglielo capire. A volte è impressionante vedere quanto si può trasformare una persona, se le si dà fiducia; come cambia, se la si tratta secondo l'idea perfezionata che si ha di lei. Ci sono molti uomini e donne che sanno incoraggiare gli altri ad esseri migliori, mediante un'ammirazione discreta e silenziosa. Comunicano loro la sicurezza che c'è molto di buono e di bello in loro, e, con pazienza e costanza, li incoraggiano e aiutano a svilupparlo.

Quando qualcuno nota di essere amato, acquista una fiducia allegra nell'altro: comincia ad aprire la sua intimità. La trasmissione della fede comincia -a tutti i livelli- con un linguaggio non verbale. È il linguaggio dell'affetto, della comprensione e dell'autentica amicizia.

Parlare di fede

Quando conosco bene un altro, conosco anche le sue esperienze, le sue ferite e le sue speranze. E -se c'è reciprocità in questa conoscenza- l'altro sa quello che io ho vissuto, quello che mi fa soffrire e quello che mi dà speranza. L'amicizia non è mai una via unilaterale. In un clima di conoscenza reciproca è più facile parlare di tutto, anche della fede.

Una ricerca comune

Ci sono persone che hanno una forte identità cristiana e, nonostante questo, non riescono a convincere nessuno. Quando qualcuno si mostra troppo sicuro, in linea di principio oggi non lo si accetta. C'è un rifiuto nei confronti dei "grandi racconti" e dei "portatori della somma verità", perché abbiamo più chiaro che mai che nessuno può sapere tutto. Si parla di una pastorale "dal basso", non "dall'alto", non dalla cattedra, che vuole istruire i "poveri ignoranti". Questo modo di agire ormai non è efficace, e forse non lo è mai stato.

Viene in mente quello che si racconta di Papa Giovanni Paolo II. Avvenne durante il Concilio Vaticano II. In una delle sessioni plenarie del Concilio, l'allora giovane vescovo Wojtyla chiese la parola e, inaspettatamente, fece una critica tagliente al progetto di uno dei documenti più importanti, che era stato proposto. Fece capire che il progetto non serviva ad altro che ad essere gettato nel cestino. Le ragioni erano queste: "Nel testo presentato, la Chiesa insegna al mondo. Si pone, per così dire, al di sopra del mondo, convinta di possedere la verità, ed esige dal mondo che le obbedisca". Però questo atteggiamento può esprimere una immensa arroganza. "La Chiesa non deve istruire il mondo dalla posizione di autorità, ma deve cercare la verità e le soluzioni autentiche dei problemi difficili della vita umana insieme al mondo" [20]. Il modo di esporre la fede non deve convertirsi mai in un ostacolo per gli altri.

Imparare da tutti

Ciò che attrae di più ai nostri giorni, non è la sicurezza, ma la sincerità: conviene raccontare agli altri le autentiche ragioni che mi convincono a credere, parlare anche dei dubbi e degli interrogativi [21]. In definitiva, si tratta di porsi a lato dell'altro e di cercare la verità insieme a lui. Certamente io posso dargli molto, se ho fede; però anche gli altri possono insegnarmi molto.

San Tommaso afferma che qualsiasi persona, per quanto sbagliate siano le sue convinzioni, partecipa in qualche modo della verità: il buono può esistere senza commistione col male; ma non esiste il male senza commistione col bene [22]. Pertanto, non solo dobbiamo trasmettere la verità che -con la grazia divina- abbiamo raggiunto, ma siamo anche chiamati ad approfondirla continuamente e a cercarla dove si può trovare, cioè da qualsiasi parte. È molto arricchente, per esempio, conversare con ebrei o con musulmani; ci si aprono sempre nuovi orizzonti. E la verità, chiunque la dica, può venire solo da Dio [23].

Dato che noi cristiani non abbiamo coscienza piena di tutte le ricchezze della nostra fede, possiamo (e dobbiamo) avanzare, con l'aiuto degli altri. La verità non la si possiede mai interamente. In ultima istanza, non è qualcosa, ma qualcuno, è Cristo. Non è una dottrina che possediamo, ma una Persona dalla quale ci lasciamo possedere. È un processo senza fine, una "conquista" progressiva.

Prendere sul serio le necessità e i desideri umani

Possiamo chiederci: perché questa o quella ideologia attrae tanta gente? Di solito, mostrano i desideri e i bisogni più profondi dei nostri contemporanei (che sono i nostri stessi desideri e bisogni). La teoria della reincarnazione, per esempio, manifesta la speranza in un'altra vita; la meditazione trascendentale insegna come si può appartarsi dai rumori esteriori e interiori; e i gruppi skinhead o teste rapate, come i punk degli anni '80 (e '90), i "gotici" degli anni '90 (e del 2000) e i rapper di oggi offrono una solidarietà -un senso di appartenenza- che molti giovani non trovano nelle loro famiglie.

Tuttavia, la fede offre risposte molto più profonde e incoraggianti: ci dice che tutti gli uomini -e in particolare i cristiani- sono fratelli, chiamati ad andare insieme per la strada della vita. Non siamo mai soli. Quando parliamo con Dio nell'orazione -che possiamo fare in qualunque momento del giorno-, non ci allontaniamo dagli altri, ma ci uniamo con chi più ci vuole bene in questo mondo, e che ha preparato a tutti una vita eterna di felicità.

Se riusciamo ad esporre il mistero divino con la chiave dell'amore, sarà più facile risvegliare gli interessi dell'uomo moderno

Se riusciamo ad esporre il mistero divino con la chiave dell'amore, sarà più facile risvegliare gli interessi dell'uomo moderno. Ci sono tentativi considerevoli in questo senso [24]. Il Dio dei cristiani è il Dio dell'amore, perché non è solo è Uno; è anche Trino. Poiché amare consiste nel mettersi in relazione con un tu -nel dare e ricevere-, un Dio "solo" (un'unica persona) non può essere Amore. Chi potrebbe amare, da tutta l'eternità? Un Dio solitario, che conosce e ama se stesso, può essere considerato, in fondo, un essere molto inquietante.

Il Dio Trino è, realmente, il Dio dell'amore. Al suo interno, scopriamo una vita di donazione reciproca. Il Padre dà tutto il suo amore al Figlio; è stato chiamato il "Grande Amante". Il Figlio riceve questo amore e lo ricambia al Padre; è colui che non dice mai "no" all'Amore. Lo Spirito è l'Amore stesso tra i due; è il "con-dilecto", secondo Ugo di San Vittore: mostra che si tratta di un amore aperto, dove c'è posto per un altro, dove c'è posto anche per noi [25].

"Essere al mondo vuol dire: essere amato da Dio", afferma Gabriel Marcel. Per questo, un credente può sentirsi protetto e sicuro. Può sperimentare che i suoi desideri più profondi sono appagati.

Andare all'essenziale

Quando parliamo di fede, è importante andare all'essenziale: il grande amore di Dio per noi, la vita appassionante di Cristo, l'azione misteriosa dello Spirito nella nostra mente nel nostro cuore… Dobbiamo fuggire da quello che fanno quelli che vogliono togliere forza al cristianesimo: riducono la fede alla morale, e la morale al sesto comandamento. In ogni caso, conviene lasciare molto chiaro che la Chiesa dice un sì all'amore. E per salvaguardare l'amore, dice no alle deformazioni della sessualità.

Benedetto XVI ha scelto proprio questo modo di agire. Dopo l'Incontro Mondiale delle Famiglie a Valencia, ha concesso un'intervista a Radio Vaticana, nella quale gli domandarono: "Santo Padre, a Valencia lei non ha parlato né dell'aborto, né dell'eutanasia, né del matrimonio gay. L'ha fatto di proposito?". E il Papa rispose: "Naturalmente sì… Se uno ha così poco tempo non può subito cominciare con il dire "No". Bisogna sapere prima che cosa veramente vogliamo, non è vero? E il cristianesimo… non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva. Ed è molto importante che lo si veda nuovamente, poiché questa consapevolezza oggi è quasi completamente scomparsa. Si è sentito dire tanto su ciò che non è permesso, che ora bisogna dire: Ma noi abbiamo un'idea positiva da proporre… Anzitutto è importante mettere in rilievo ciò che vogliamo" [26].

Un linguaggio chiaro e semplice

Quando studiavo a Colonia, una volta dovetti preparare un lavoro lungo e difficile per un seminario all'Università. Prima di consegnarlo al professore, lo mostrai a un compagno più grande, che lo lesse con interesse, e poi mi diede un consiglio amichevole che non ho mai dimenticato: "Va bene -commentò-. Però se vuoi avere un buon voto, devi dire queste stesse cose in un modo molto più complicato".

Siamo fatti così. A volte confondiamo il complicato con l'intelligente, e dimentichiamo che Dio -la somma verità- è, nello stesso tempo, la somma semplicità. Il linguaggio della fede parla con semplicità di realtà ineffabili. "Preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue", avverte San Paolo [27].

Si possono usare immagini per avvicinare il mistero trinitario al nostro spirito. (Nella semplicità delle immagini troviamo più verità che nei grandi concetti). Una delle immagini più comuni è quella del sole, della sua luce e del suo calore; o anche la fonte, il fiume e il mare, paragone molto apprezzato dai Padri greci [28]. (Poiché i Padri della Chiesa si esprimono molte volte in immagini, la loro teologia è sempre moderna). Si possono cercare anche aneddoti, citazioni della letteratura o scene di film. Ai tempi del Vaticano II, gli esperti furono invitati a parlare in un linguaggio accessibile: "Si abbandoni ogni linguaggio esangue e arido, l'analisi carica di affermazioni concettualiste, per adottare un linguaggio più vivo e concreto, a somiglianza della Bibbia e degli antichi Padri. Si abbandoni il sovraccarico di discussioni secondarie e di "questioni di semplice curiosità… Rivolgere a qualcuno un discorso astruso, difficilmente comprensibile… ha qualcosa di oltraggioso e di irrispettoso, sia per la verità sia per la persona, che ha diritto di capire" [29].

Chi non comprende quello che sta dicendo l'altra persona non può esprimere i suoi dubbi, non può ricercare liberamente per proprio conto. Dipende dall'altro, e facilmente può essere da lui manipolato.

Un linguaggio esistenziale

Allo stesso modo, l'altro ha diritto di conoscere tutta la verità. Se soffochiamo una parte della fede, creiamo un ambiente di confusione, e non prestiamo un aiuto autentico all'altro. Lo dice chiaramente Danielou: "La condizione fondamentale per un dialogo sincero con un non cristiano è dire: ho l'obbligo di dirti che un giorno ti incontrerai con la Trinità" [30].

È necessario spiegare agli altri la propria fede nel modo più chiaro e integro possibile [31]. In questo modo, d'altro lato, guadagniamo in sincerità in qualunque relazione umana: vogliamo far conoscere la nostra identità, cioè, nel nostro caso, l'identità cristiana. L'altro vuole sapere chi sono io. Se non parliamo, con cura, di tutti gli aspetti della fede, gli altri non potranno accettarci come siamo in realtà, e la nostra relazione diventerebbe sempre più superficiale, più deludente, fino, prima o poi, a rompersi.

Abbiamo il desiderio di incoraggiare gli altri a lasciarsi incantare e conquistare dalla luminosa figura di Cristo

Però non vogliamo far conoscere solo il nostro progetto di vita. Abbiamo il desiderio di incoraggiare gli altri a lasciarsi incantare e conquistare dalla luminosa figura di Cristo.

Qui si manifesta il carattere esistenziale e dinamico del linguaggio sulla fede, che invita gli altri a entrare, a poco a poco, nella vita cristiana, che è dialogo e intimità, corrispondenza all'amore e, allo stesso tempo, una grande avventura, "l'avventura della fede".

Nota finale

Credere in Dio significa camminare con Cristo -in mezzo a tutte le nostre lotte-verso la casa del Padre [32]. Però per questo a poco servono gli sforzi, e ancor meno le prediche. Il nostro linguaggio è molto limitato. La fede è un dono di Dio, e tale è anche il suo sviluppo. Possiamo invitare gli altri a chiederla, insieme a noi, umilmente dall'alto. La meta del nostro parlare di Dio consiste nel portare tutti a parlare con Dio. Anche Nietzsche, che combatté il cristianesimo per lunghi decenni, alla fine della sua vita scrisse un'impressionante poema "Al Dio ignoto", che si può considerare una vera orazione:

"Torna a me, con tutti i tuoi martiri!

Torna me, all'ultimo solitario!

Le mie lacrime, a torrenti,

scorrono nell'alveo fino a Te,

e accendono in me il fuoco

del mio cuore per te.

Oh, torna, mio Dio sconosciuto!

Mio dolore, mia ultima sorte, mia felicità"[33].

Note

[1] F. NIETZSCHE, La gaia scienza (1887)

[2] Cfr. le statistiche pubblicate da J. FL YNN, Analfabetismo religioso, in "Zenit" (Agenzia Internazionale d'Informazione, Roma), 3-V-2007.

[3] Cfr. M. GUERRA, Historia de las religiones, Pamplona 1980, vol. 3.

[4] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et Spes (=GS), n. 4.

[5] R. GUARDINI, Lettere dal lago di Como, Morcelliana 1993.

[6] D. BONHOEFFER, Predigten, Auslegungen, Meditationen I,1984, pp. 196-202.

[7] Cfr. Y. CONGAR, Situación y tareas de la teología de hoy, Salamanca 1970: "Se la Chiesa vuole avvicinarsi ai veri problemi del mondo attuale, deve aprire un nuovo capitolo di epistemologia teologico-pastorale. Invece di partire solamente dal dato della rivelazione e della tradizione, come ha fatto generalmente la teologia classica, dovrà partire da fatti e problemi che provengono dal mondo e dalla storia. Questo è molto meno comodo; però non possiamo continuare a ripetere l'antico, partendo da idee e problemi del XIII o XIV secolo. Dobbiamo partire dalle idee e dai problemi di oggi, come da un dato nuovo, che è necessario certamente chiarire mediante il dato evangelico di sempre, però senza potere approfittare di elaborazioni già acquisite nella tranquillità di una tradizione sicura". pp 89 e seguenti.

[8] Il Concilio cambia il modo abituale della riflessione teologica e comincia a contemplare il mondo di oggi, con i suoi squilibri, i suoi timori e le sue speranze; si apre ai segni dei tempi. "Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio.". GS, 11; 44; cfr. 4-10. Cfr. Giovanni XXIII, Bolla Humanae salutis (25-XII-1961), con la quale il Papa convocava il Concilio Vaticano II. Idem, Enciclica Pacem in terris (11-IV-1963), 39.

[9] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Decreto Unitatis redintegratio, 6.

[10] J.L. MARTÍN DESCALZO, Razones para la alegría, 8ª ed., Madrid 1988, p. 42.

[11] Cfr. E. SCHOCKENHOFF, Zur Lüge verdammt, Freiburg 2000, p. 73.

[12] SANT' AGOSTINO, Confessioni 1,8. A sua volta, l'espressione dei sentimenti è plasmata dalla cultura. Comprendere il valore espressivo di un gesto, di uno sguardo o di un sorriso, indica che si sta dentro una determinata cultura.

[13] J. DANIÉLOU, El misterio de la historia. Un ensayo teológico, San Sebastián 1963, pp.39s.

[14] S. WEIL, Gravity and Grace, New York 1952, p. 117.

[15] Gertrud von Le Fort, Unser Weg durch die Nacht, in Die Krone der Frau, Zürich 1950, pp. 90 e ss.

[16] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, 14 E 36.

[17] Is 43,1-4; 49,15-16.

[18] In questa linea si spiega, in parte, il fenomeno della teologia femminista radicale. Perché ci sono tante persone che non vogliono più parlare di "Dio Padre"? Non sono pochi coloro ai quali è impossibile rivolgersi a Dio come "Padre", perché hanno avuto esperienze sgradevoli con i loro padri.

[19] Cfr. J. BRADSHAW, Das Kind in uns, München 1992, p. 66.

[20] M. MALINSKI; A. BUJAK, Juan Pablo II: historia de un hombre, Barcelona 1982, p. 106.

In certe circostanze, tuttavia, la Chiesa deve insegnare con autorità, però senza "autoritarismo", cioè, con autorità ed umiltà.

[21] Si parla anche di una "teologia narrativa" che cerca di scoprire l'azione dello Spirito nel mondo, attraverso avvenimenti e fatti concreti. Alcuni autori raccontano la loro propria vita (Cfr. J. SUDBRACK, Gottes Geist ist konkret. Spiritualitat im christlichen Kontext, Würzburg 1999, pp.3-31), altri prendono esempi dalla letteratura o dalla storia per illustrare come Dio agisce in tutti gli avvenimenti (Cfr. V. CODINA, Creo en el Espíritu Santo. Pneumatología narrativa, cit., pp.11-27 y pp.179-185). La pneumatologia narrativa si converte a volte in agiografia. Il fatto che alcuni grandi santi si convertirono con la lettura di vite di altri santi è significativo. Così per esempio, Edith Stein scoprì la fede leggendo la "Autobiografia" di Teresa di Gesù. Rans Urs von Balthasar e René Laurentin hanno cominciato, tra gli altri, a fare una teologia partendo dai santi che hanno un messaggio molto concreto per i loro contemporanei e le generazioni successive (Cfr. R.U. VON BALTHASAR,Thérese de Lisieux. Geschichte einer Sendung, Koln 1950. R. LAURENTIN, Vie de Bernadette, París 1978. IDEM, Vie de Catherine Labouré, Paris 1980).

[22] "Bonum potest inveniri sine malo; sed malum non potest inveniri sine bono". SAN TOMMASO D'AQUINO, Summa theologiae I-IIae q. l09, a.1, ad 1.

[23] "Omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est". Ibid cfr. IDEM, De veritate, q. 1, a.8.

[24] Cfr. BENEDETTO XVI, Enciclica Deus caritas est (25-XII-2005).

[25] Cfr. SANT'AGOSTINO: "Qui sono tre: l'Amante, l'Amato e l'Amore." De Trinitate, VIII,10,14: PL 42,960.

[26] Cfr. BENEDETTO XVI, Intervista concessa a Radio Vaticana e a quattro catene di televisioni tedesche a motivo del suo prossimo viaggio in Germania, Castelgandolfo 5-VIII-2006.

[27] 1 Cor 14,19.

[28] Si tratta evidentemente di immagini molto imperfette che richiedono ogni volta più spiegazioni.

[29] G. PHILIPS, Deux tendances dans la théologie contemporaine, en Nouv. Rev. Théol (1963/3), p. 236.

[30] J. DANIÉLOU, Mitos paganos, misterio cristiano, Andorra 1967, p.123.

[31] Arriverà il momento in cui si possa introdurre -con cautela- alcuni termini "tecnici" -come persona, relazione o natura-, che sono stati utilizzati al momento della formulazione dei grandi dogmi. La teologia -come qualunque scienza- ha una terminologia molto precisa dalla quale non possiamo prescindere. Molte parole delle formule dogmatiche provengono dall'ambito filosofico; dopo una lunga storia di discussione tra fede e filosofia, arrivarono ad essere espressione specifica di quello che la fede può dire su se stessa. Pertanto, queste parole non sono solamente il linguaggio del platonismo, dell'aristotelismo o di qualunque altra filosofia, ma appartengono al linguaggio proprio della fede. Certamente la rivelazione è superiore a tutte le culture. Però nel trasmettere la Buona Novella di Cristo, si trasmette anche qualcosa di culturale.

[32] Cfr. Fil 3,20.

[33] Cfr. F. NIETZSCHE, en F. WÜRZBACH (ed.), Das Vermiichtnis Friedrich Nietzsches, Salzburg-Leipzig 1940.