Andrea e il Colosseo

«La malattia fu subito interpretata e vissuta da monsignor Deskur lui alla luce di un’espressione che san Josemaría Escrivá amava ripetere ed egli conosceva molto bene: "La gioia cristiana ha le radici a forma di Croce". Sono parole del Card. Herranz in un omaggio a Mons. Deskur.

«Come stai, Andrea?» lo salutavo arrivando. E lui, il cardinale Andrzej Maria Deskur, mi rispondeva con un sorriso smagliante dalla sua sedia a rotelle, che per 33 lunghi anni è stata il suo trono di grazia e di vittoria. «Come sto? Come il Colosseo: ridotto ad un rudere ma molto visitato!» scherzava volentieri.

Non rideva, sorrideva. Con un sorriso che era l’irradiazione discreta, umile e attraente dell’amore, del suo amorevole abbandono filiale alla volontà di Dio e della generosa donazione di se stesso agli altri, a noi. Parlando con lui mi venivano spesso in mente le parole di san Paolo ai Filippesi: «Gioite, gioite sempre nel Signore», che riassumevano bene, alla luce della fede, il bellissimo augurio precristiano di Seneca all’amico Lucilio: «Desidero che non ti manchi mai la gioia, anzi che ti nasca in casa; e nascerà perché essa è dentro di te. Le altre forme di allegria non riempiono il cuore, sono esteriori e vane».

Andrea aveva e comunicava la sua intima gioia cristiana a quanti andavano a trovarlo nel suo appartamento, al primo piano del palazzo San Carlo in Vaticano. Riceveva infatti molte visite, soprattutto durante il pontificato di Giovanni Paolo II, ma le più regolari probabilmente erano le nostre: quelle degli amici degli «incontri sacerdotali» che abbiamo tenuto il primo e il terzo venerdì del mese, alle 16, tutti i mesi per trent’anni, dopo quel 13 ottobre 1978, giorno in cui lo colpì al primo mattino una forte ischemia cerebrale.

Quello stesso giorno, vigilia del conclave in cui sarebbe stato eletto Papa il suo grande amico Karol Wojtyła, sono andato subito a trovare Andrea al policlinico Gemelli. Con la mia vecchia esperienza di medico, mi sono reso conto della gravità dell’ictus che aveva avuto. In un suo momento di lucidità, gli ho letto, mentre lui assentiva leggermente con la testa, la preghiera della devozione privata a Josemaría Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei morto tre anni prima, di cui Andrea era molto devoto. Oltre a pregare per la sua guarigione, gli suggerii di offrire per il futuro Papa quell’imprevista croce che il Signore aveva messo sulle sue spalle. Vidi che assentiva, mentre gli affioravano le lacrime agli occhi. Cinque giorni dopo, il 18 ottobre 1978, il nuovo Pontefice Giovanni Paolo II venne in quella stessa stanza a far visita al suo amico malato.

Allegria soprannaturale

«La allegria che devi avere non è quella che potremmo chiamare fisiologica, da animale sano, ma quella soprannaturale, che procede dall’abbandonare tutto e dall’abbandonare te stesso nelle braccia amorose di nostro Padre-Dio».

Ho appena adoperato queste due parole «ictus» e «croce», messe insieme, perché diventarono improvvisamente una dolorosa e ardua realtà nella vita di un uomo giovane e pieno di vita, com’era monsignor Deskur, all’epoca cinquantaquattrenne. Questa realtà fu subito interpretata e vissuta da lui alla luce di un’espressione che san Josemaría Escrivá amava ripetere ed egli conosceva molto bene: «La gioia cristiana ha le radici a forma di Croce». Andrea mi disse che amava meditare Cammino, tra le cui esortazioni si trova questa: «La allegria che devi avere non è quella che potremmo chiamare fisiologica, da animale sano, ma quella soprannaturale, che procede dall’abbandonare tutto e dall’abbandonare te stesso nelle braccia amorose di nostro Padre-Dio».

Comè noto, Papa Wojtyła si interessò sempre affinché Andrea avesse le migliori cure mediche possibili, in Italia e in Svizzera, e la necessaria assistenza personale nella sua abitazione in Vaticano. Anzi, poiché nonostante l’emiplegia sofferta conservava una notevole lucidità mentale e facilità di espressione, lo invitava a pranzo nell’appartamento pontificio quasi tutte le domeniche. Ciò che permise a Deskur di intrattenere e divertire il Pontefice con una sempre amena conversazione, arricchita spesso da barzellette. Talvolta, alla fine dei nostri «incontri» sulla spiritualità e il ministero sacerdotali, ci raccontava una o più barzellette che aveva preparato per la domenica successiva, per vedere se qualcuna non era giudicata da noi del tutto opportuna. Figuriamoci, con la sua delicatezza di anima! Erano aneddoti o barzellette divertenti, talvolta dignitosamente «clericali» e qualcuna teneramente ingenua, come quella della bambina che considerava «peccato originale» l’essere entrata di nascosto in cucina «per mangiare una mela».

Un giorno mi confidò che in quelle visite «all’appartamento» egli cercava di fare «il giullare di Pietro», cioè non parlare di problemi o questioni di governo («a questo ci pensano altri») ma di intrattenere, distrarre e rallegrare il Papa con un altro genere di discorsi più ameni e distensivi, «come facevano i giullari medievali nei palazzi dei re». Pensai che agendo così, Andrea metteva bene in pratica alcune parole della nota «preghiera gioiosa» di san Tommaso Moro: «Signore, dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolii, i sospiri, i lamenti. Dammi il senso dell’umorismo. Dammi il dono di saper ridere di uno scherzo, affinché sappia trarre un po’ di gioia dalla vita, e possa farne parte anche ad altri».

Karol Woytjla (a sinistra) e Andrzej Maria Deskur nel 1962.

L’amicizia del cardinale Deskur con Giovanni Paolo II era, sì, di lunga data (dai tempi del seminario), ma soprattutto era un’amicizia sacerdotale profonda continuamente coltivata, nonostante la diversità di ministeri, tempi e luoghi nel servizio della Chiesa. In una fotografia che ho avuto da Andrea nell’aprile 2005, dopo la morte del Papa polacco, l’allora arcivescovo di Cracovia appare con monsignor Deskur nei primi anni Settanta in un salottino dell’antica casa di Santa Marta in Vaticano. Il cardinale Wojtyła era andato a visitare Andrea, non ancora vescovo (lo divenne nel 1974), come faceva regolarmente in tutti i suoi viaggi a Roma, nei quali spesso fu in seguito ospitato nell’appartamento assegnato ad Andrea come prelato superiore di un dicastero della Curia. Detto questo, vorrei sottolineare che nonostante la mutua fiducia e simpatia frutto della loro lunga amicizia spirituale, Andrea era sempre delicatissimo nell’evitare inopportune familiarità e nel manifestare la sua ammirazione e venerazione per la persona e le virtù di Karol Wojtyła, prima come suo arcivescovo e, poi, come pastore della Chiesa universale e infine come beato. Due vite parallele, innamorate dell’Amore crocifisso e della Madonna, magnificamente spese al servizio della Chiesa.

Dal venerdì Santo alla Pasqua di Risurrezione. «La gioia cristiana ha le radici a forma di Croce». Dalle radici di quella croce portata con amore da Andrea per 33 anni è salita la linfa vivificante e gioiosa di un’abbondantissima grazia divina, che ha fatto crescere intorno al «rudere molto visitato» uno splendido albero di anime innamorate di Cristo, l’Amore crocifisso, il Risorto. Molte di queste persone, tra cui più di un centinaio di figli e figlie della Croce — l’istituzione da lui fondata — erano presenti nella basilica di San Pietro il 6 settembre, giorno delle sue esequie solenni. Come noi, membri del Collegio cardinalizio, e come tutti i numerosi presenti, guardavano con amore e gratitudine davanti all’altare della Cattedra la bara in cui giaceva il corpo di Andrea, il «chicco di grano» che aveva saputo tanto bene morire per trasmettere la vita.

Articolo pubblicato nell'Osservatore Romano, Un ricordo del cardinale polacco Deskur a un mese dalla morte