Al simposio “Testimoni del secolo XX, maestri del secolo XXI”

Il secolo XX è stato – come tutti i periodi della storia della Chiesa – ricco di santi, di testimoni di Dio. Volgere lo sguardo alle loro figure deve contribuire a risvegliare in noi il desiderio che germini in molti cuori il seme che Dio ha seminato con le loro vite, con le loro lotte.

Il secolo XX è stato – come tutti i periodi della storia della Chiesa – ricco di santi, di testimoni di Dio. Volgere lo sguardo alle loro figure deve contribuire a risvegliare in noi il desiderio che germini in molti cuori il seme che Dio ha seminato con le loro vite, con le loro lotte.

Il Prelato dell’Opus Dei ha tenuto una conferenza al simposio “Testimoni del secolo XX, maestri del secolo XXI”: “il seme che Dio ha piantato nella storia servendosi dell’esempio e della predicazione di Josemaría Escrivá è stato quello di amare il mondo. Amarlo appassionatamente. Amarlo nel Signore e per il Signore”.

“Il simposio di oggi ci fa ricordare alcuni santi con i quali Dio ha benedetto la sua Chiesa nel secolo XX, proprio con l’intenzione che siano “maestri del secolo XXI”. In diverse occasioni, a motivo della recente commemorazione del centenario della nascita di Josemaría Escrivá, ho ritenuto opportuno chiarire che questo anniversario non poteva limitarsi a ricordare la sua vita, e neppure a commentare la sua ricca personalità, ma che doveva anzitutto farci sentire coinvolti dal messaggio che Dio ci rivolge attraverso il suo esempio e i suoi insegnamenti.

Parole simili potrebbero essere pronunciate in riferimento a tutti i santi dei quali oggi ci occuperemo, tra i quali – e lo dico con gioia – vi sono alcuni la cui vita si è intrecciata con quella del fondatore dell'Opus De: Giovanni XXIII, che egli ebbe occasione di incontrare varie volte durante il suo pontificato, don Manuel González, al quale si sentì profondamente unito nell’amore all’Eucaristia e in una sincera amicizia umana...

Il secolo XX è stato – come tutti i periodi della storia della Chiesa – ricco di santi, di testimoni di Dio. Volgere lo sguardo alle loro figure deve contribuire a riempire di speranza le nostre attese per l’avvenire, a risvegliare in noi il desiderio sincero che germini in molti cuori il seme che Dio ha seminato con le loro vite, con le loro lotte.

Quale è stato il seme che Dio ha gettato nella storia servendosi dell’esempio e della predicazione di Josemaría Escrivá? Amare il mondo. Amarlo appassionatamente. Amarlo nel Signore e per il Signore.

«Bada bene – scrive Josemaría Escrivá in Forgia -: nel mondo ci sono molti uomini e donne, e il Maestro non tralascia di chiamarne neppure uno». Il fondatore dell’Opus Dei desiderò sempre che questo messaggio si trasmettesse quasi “per contagio”, mediante la testimonianza di quanti, sforzandosi di santificare la propria condotta, dimostrano che ogni vita può essere santificata [...].

«Gli uomini del nostro tempo – dice il Santo Padre - forse non sempre coscientemente, chiedono ai credenti di oggi non solo di ‘parlare’ di Cristo, ma in un certo senso di farglielo ’vedere’». Cercano di individuarlo visivamente attraverso i comportamenti di quelli che passano accanto a loro. Proprio per questo la chiamata universale alla santità costituisce un messaggio – sempre attuale – di speranza per il mondo [...].

I cristiani coerenti dimostrano al mondo che l’assenza di Dio e la sconfitta di Cristo sono soltanto apparenti. Cristo ha vinto. Il peccato e la morte non hanno più pieni poteri sull’uomo [...]. Questa profonda convinzione, questa fede, è ciò che distingue il cristiano, che sa fondare la sua gioia anche sul dolore, il suo ottimismo sull’afflizione, la sua perseveranza attraverso le difficoltà [...].

Ogni cristiano deve amare questa nostra terra, creata da Dio e per conseguenza dotata di bontà. Il cristiano deve amare in modo particolare il mondo e quanto esso contiene di nobile – lavoro professionale, occupazioni familiari, relazioni sociali... – perché sono elementi essenziali della sua vita come uomo e come cristiano, e luogo dell’incontro con Dio, per il compimento della propria missione. Questi concetti il fondatore dell'Opus Dei li esprimeva con forza: «Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. È in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini» [...].

«Siate uomini e donne di mondo – scrisse in un punto di Cammino - ma non siate uomini o donne mondani». Siate uomini e donne – potremmo parafrasare – che amate il mondo perché fate parte di questa realtà, e soprattutto perché lo riconoscete come materia venuta da Dio e da Lui amata, e per conseguenza l’apprezzate fino in fondo, coscienti che il riferimento a Dio non la snatura né la distrugge, ma al contrario la edifica e perfeziona [...]. Questo mondo concreto, stravolto malignamente dal peccato, può essere rigenerato, restituito alla sua originaria bontà [...].

Il mondo è, inseparabilmente, luogo d’incontro col Sommo Fattore e compito in cui esercitarsi. La storia nel suo insieme, le relazioni familiari e di amicizia, l’evoluzione delle società e delle civiltà, i progressi delle scienze e della cultura, tutto ciò che costituisce l’ambiente in cui vive l’uomo, fa parte delle opportunità che Dio mette davanti a ogni creatura, affidandogliele affinché ne ricavi da esse i frutti migliori in virtù dei doni che Egli stesso le offre. Potremmo spiegare questa verità da molte prospettive, ma qui lo farò fermando l’attenzione sul lavoro e avvalendomi come guida di una frase che il Beato Josemaría usò spesso: santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro, santificare gli altri con il lavoro.

Santificare il lavoro

[...] L’uomo, che fu creato per lavorare - «ut opereretur», precisa la Genesi -, deve dedicarsi fedelmente a queste occupazioni per la gloria di Dio. Col suo lavoro, la creatura arricchisce il mondo ricevuto dal Signore e glielo presenta poi come un sacrificio di lode.

Dobbiamo lavorare sempre con lo sguardo rivolto al Cielo, con la persuasione che, agendo in questo modo, non ci allontaniamo dal lavoro professionale, e da quanto esso esige e richiede, ma che al contrario ci vediamo spinti a compiere meglio i nostri doveri, con un maggiore senso professionale e con maggiore impegno [...].

Santificarci nel lavoro

[...] Cercando ogni giorno di compiere con eroismo la propria attività, si mettono in gioco le virtù umane più diverse: la laboriosità, la giustizia, il vigore, la perseveranza, l’onestà, la fortezza, la prudenza... E anche quelle teologali: la fede, che ci fa percepire la vicinanza di Dio e il senso ultimo delle nostre aspirazioni; la speranza, che incoraggia a confidare profondamente in Dio e a perseverare nell’impegno, malgrado le difficoltà; la carità, che induce gioiosamente ad amare con una donazione personale, con sincerità e con opere nelle occasioni e nei momenti più diversi.

In tal modo i desideri e i progetti che il cristiano custodisce nel suo cuore si trasformano in una sincera orazione di lode, di petizione per i propri fratelli, di ringraziamento a Dio che ci ha affidato il mondo e il suo retto ordine, come dimostra la sua predilezione nei nostri confronti. Una preghiera che si può tradurre in parole, ma che non sempre ne ha bisogno, perché il suo linguaggio si rivela nel lavoro stesso: la puntualità, l’ordine, la cura delle cose piccole... [...].

Santificare gli altri con il lavoro

[...] Il nostro lavoro professionale può contribuire ad avvicinare a Dio quelli che stanno attorno a noi nella misura in cui, se esercitato con competenza e spirito di servizio, si riflette nel bene della società e di quanti la compongono, migliorando le condizioni familiari, ambientali, di relazione, ecc., con l’intento che a poco a poco il mondo si adegui meglio alla dignità dell’uomo, alla sua condizione di figlio di Dio.

[...] La fede ci stimola a riconoscere coloro che ci stanno attorno come figli e figlie di Dio. E la carità ci incoraggia fortemente a trattarli in questa ottica, condividendo le loro gioie, interessandoci dei loro problemi, fino a trasmettere, insieme all’aiuto umano che potremo prestare loro, il bene più grande che possediamo: la nostra stessa fede [...].

Con la sua attività quotidiana, modellata dalla grazia, la creatura, ogni uomo e ogni donna, offre a Dio il mondo intero [...]. Ma il peccato originale, al quale in seguito si sono aggiunti i nostri errori personali, ha offuscato il nostro sguardo e debilitato la nostra volontà. Il nostro dominio sulla terra è diventato arduo e spesso penoso. Nella stanchezza, nella malattia, nella dura esperienza della morte, nell’incomprensione da parte degli altri, ecc., il mondo sembra rivoltarsi contro l’uomo [...].

Certe volte quel mondo che dovremmo considerare come un mezzo per avvicinarci a Dio, si trasforma addirittura in occasione che ci allontana da Lui. E così, non solo si sottrae al dominio dell’uomo, ma sembra sottrarsi alla sovranità di Dio, ribellandosi al proprio Creatore. In questo contesto, sorge facilmente una domanda: la creazione è ancora oggi una realtà buona, amata da Dio? Rientra nell’amore di Dio una mondo come questo? La fede cristiana risponde con una affermazione decisa, certa: il mondo continua a essere buono [...].

Anche dopo il peccato, dopo tutti i peccati di cui parla la storia e i mali che da questi flagelli derivano, Dio non abbandona l’umanità alla sua sorte, ma gli va incontro inviando suo Figlio. La donazione di Cristo sulla Croce si innalza come sorgente e modello dell’amore per il mondo nel quale viviamo e nel quale dobbiamo lavorare, partecipando di questa carità che redime. Se Dio amò con tanta tenerezza le sue creature, anche quando esse lo respingevano, potremmo mai noi rifiutare di donarci a nostra volta, amando appassionatamente questa terra, per condurla, con Lui, verso il Padre?

«Il mondo ci aspetta – diceva il Beato Josemaría -. Sì, amiamo appassionatamente questo mondo perché così Dio ci ha insegnato: ‘sic Deus dilexit mundum...’ – così Dio amò il mondo; e perché è il luogo del nostro campo di battaglia, una bellissima guerra di carità, affinché tutti raggiungiamo la pace che Cristo è venuto a istaurare». Questo amore di Dio manifestato in Cristo è redentore, libera la creazione dal peccato. Un amore che, per così dire, crea di nuovo il mondo e ce lo affida un’altra volta.

Nel donarci la sua grazia, la sua vita intera, Gesù Cristo ci illumina con la sua luce per farci conoscere il mondo secondo il suo cuore e ci colma della sua forza per farcelo amare con rettitudine d’intenzione e con disposizione di servizio. Non dimentichiamolo: Cristo ci ha portato la sua vittoria e allo stesso tempo ci invita a partecipare alla sua missione e al suo cammino, {...].

Amando il mondo con il cuore di Cristo nella gioia e nel dolore, nei momenti di esaltazione e nelle avversità, nelle grandi occasioni e nel quotidiano cammino ordinario, collaboriamo con Lui nel compito di preparare i nuovi cieli e la nuova terra dei quali parla l’Apocalisse [...].

A tutti la Chiesa invia, anche attraverso la parola e la vita di Josemaría Escrivá, un invito e una guida efficace per farci scoprire e manifestare – ognuno nella propria situazione – la buona notizia dell’amore di Dio, creatore e redentore del mondo”.

Intervento al simposio “Testimoni del secolo XX, maestri del secolo XXI” - 8 aprile 2002