Un 19 marzo

Il 19 marzo 1935, festività di S. Giuseppe, fu un gran giorno. Quel 19 marzo irruppero nel cuore del Fondatore tutte le amarezze degli ultimi mesi.

Le rose e le spine

Fotografie dei primi anni a Madrid

Il 19 marzo 1935, festività di S. Giuseppe, fu un gran giorno. Quel 19 marzo irruppero nel cuore del Fondatore tutte le amarezze degli ultimi mesi: le difficoltà materiali, l’apparente fallimento apostolico, le critiche e l’insubordinazione dei sacerdoti: «Che tu sia benedetto, Gesù, che non fai mancare a questa fondazione il sigillo regale della Santa Croce!» In questa caterina del 20 marzo, che sintetizza le pene del giorno precedente, ricordava una lezione definitivamente impressa nella sua memoria anni addietro, quando aveva annotato:

«Gesù mi ha sempre voluto per Sé - un giorno lo spiegherò con calma - e per questo mi ha sciupato tutte le feste, ha messo fiele in tutte le mie gioie, mi ha fatto sentire le spine di tutte le rose del cammino... E io, cieco: non vedevo, finora, la predilezione del Re che per tutta la mia vita ha impresso nella mia carne e nel mio spirito il sigillo regale della Santa Croce» (138).

Per sempre

Per la prima volta ebbe luogo, quel 19 marzo, l'incorporazione definitiva all'Opera delle vocazioni già consolidate. Volendo evitare malintesi e per evidenziare che non si trattava di fare voti o promesse come i religiosi, il Fondatore spiegò loro in che cosa consistesse: «Consiste - senza voti né promesse di alcun genere - nel dedicare per sempre la vita all'Opera».

L’incorporazione, che si fece davanti alla povera croce di legno del futuro oratorio della Residenza, fu designata con il nome di "Schiavitù", mutato in seguito in “Fedeltà" (139). La cerimonia era simbolicamente completata dalla consegna di un anello che portava incisa, all'interno, la data e la parola "serviam" (servirò). E allo scopo di sottolineare fino a dove arrivava la responsabilità della donazione, don Josemaría domandava, uno per uno, a coloro che avevano già fatto la “Fedeltà”:

«Se il Signore si prendesse la mia vita prima che l'Opera abbia le necessarie approvazioni canoniche che le diano stabilità, tu continueresti a lavorare per portare avanti l'Opera, anche a costo dei tuoi averi, del tuo onore e della tua attività professionale, mettendo, in una parola, tutta la tua vita al servizio di Dio nella sua Opera?» (140).

All’attesa del "Residente" per eccellenza

I giorni che seguirono alla festa di S. Giuseppe furono di grande attesa. Già da tempo tutti si stavano preparando all'arrivo del Santissimo (del "Residente" per eccellenza, come lo chiamava don Josemaría, con la viva speranza di averlo in casa). Avere un tabernacolo in casa era stata la ragione principale dell’abbandono di via Luchana. E fu senza dubbio il demonio che, davanti a così grande evento, mise degli ostacoli: «Il demonio mette degli ostacoli per ritardare la venuta di Gesù nel Tabernacolo di questa Casa», si legge in una caterina (141). Quando egli era sul punto di chiedere il decreto di erezione dell'oratorio, si ammalò il Vicario Generale. Ma il 2 marzo, ristabilitosi il Vicario, don Josemaría lo informava sui ritiri mensili e su una catechesi che svolgevano nella Colonia Popolare e terminava la lettera con una chiara allusione: «Penso che Gesù sarebbe molto contento, in mezzo a questa sua combriccola, se avessimo un vero oratorio con il Tabernacolo» (142). Il 13 marzo presentò un'istanza al Vicariato, in cui ne faceva richiesta.

Destinarono all’oratorio il miglior locale dell'appartamento. Riuscirono ad avere un altare portatile e, come pala d'altare, un quadro con la cena di Emmaus. Trovarono anche il tabernacolo, gli ornamenti e i candelabri, alcune cose regalate, altre in prestito. Don Josemaría, nel frattempo, aveva premura che venisse l'Ospite: «Gesù, verrai presto nella tua Casa dell'Angelo Custode, nel Tabernacolo? Ti desideriamo!» (143). Alla vigilia di S. Giuseppe non aveva ancora ricevuto risposta all'istanza in cui chiedeva un oratorio semipubblico (144). Dovevano ancora procurarsi diversi oggetti, come le ampolline, la campanella, la palmatoria, il piattino per la Comunione, ecc. Don Josemaría ne fece un elenco e lo conservò, chiedendo a S. Giuseppe che qualche anima caritatevole ne facesse dono.

Grande fu la sorpresa quando, la vigilia stessa della festa, il 18 marzo, il portiere portò di sopra un pacchetto che gli aveva consegnato un signore. Apertolo, il sacerdote vide che conteneva tutto quello che mancava, esattamente gli oggetti enumerati nell'elenco. Cercarono di identificare il donatore. Il portiere non seppe dare altra indicazione che questa: era stato un signore con la barba. Non poteva essere più precisa la risposta di S. Giuseppe alle sue preghiere.

Ite ad Ioseph

Consapevole di questo, in ringraziamento del favore, che consentiva la presenza di Gesù Sacramentato nella casa, egli decise che in tutti i futuri centri dell'Opera la chiave del tabernacolo avrebbe avuto una catenina e una medaglia con la scritta Ite ad Ioseph, patriarca del Nuovo Testamento e custode della chiave del Pane degli Angeli (145).

«Finalmente!... Gesù viene a vivere con noi. Et omnia bona pariter cum eo..., e tutto il bene verrà pure con Lui», annunciava con gioia il sacerdote nella lettera del 30 marzo a José María G. Barredo (146).

Il 31 marzo, con l'oratorio pieno di giovani, don Josemaría celebrò la Messa con una pianeta bianca, con l'altare adornato di fiori e le candele la cui altezza risaliva a scala verso il Crocifisso posto sopra il tabernacolo. Prima di distribuire la Comunione rivolse alcune parole di ringraziamento al nuovo "Residente". E, con la gioia di avere in casa il Signore, si dimenticò della lunga serie di sacrifici e scrisse al Vicario: «E’ stata celebrata la Santa Messa nell'Oratorio di questa Casa, ed è stato riservato Sua Divina Maestà, compiendo pienamente i desideri di tanti anni (dal 1928)» (147).

Da Sua venuta

E' sorprendente come, da questa data, il clima della Residenza apparisse cambiato, più familiare. Nei pomeriggi del sabato in via Ferraz c'era grande animazione. Il sacerdote dava una meditazione agli studenti e la benedizione con il Santissimo. Poi si faceva una colletta per "i fiori della Madonna" (148). Parte del denaro raccolto serviva per i fiori necessari all'altare, parte per le elemosine ai poveri derelitti del suburbio. (Ci si occupava anche dei "poveri della Vergine", gente caduta in miseria, poveri che si vergognavano e con dignità nascondevano la fame e le sofferenze. A questi si portava, oltre alla consolazione di una visita, un regalo qualsiasi, un dolce o un libro che non avrebbero mai potuto comprare).

Le catechesi della domenica aumentarono. Fu necessario organizzare due ritiri mensili. Cominciò una lezione per operai a Carabanchel... Era verissimo quello che diceva don Josemaría: «Da quando abbiamo Gesù nel Tabernacolo di questa Casa, si nota in modo straordinario che la Sua venuta ha comportato una maggior estensione e intensità del nostro lavoro» (149).

Il Fondatore dell’Opus Dei, I, Andrés Vázquez de Prada. Ed. Leonardo International, Milano.